LAURA BARILE, AMELIA ROSSELLI – NOTTETEMPO, ROMA 2014

Laura Barile propone ai lettori una lettura ravvicinata e partecipe di alcuni testi di Amelia Rosselli, poeta tra i più essenziali e difficili del nostro novecento, artefice di una «lingua terremotata», di uno «sperimentalismo linguistico e metrico, audace e rigoroso al tempo stesso». Nell’introduzione, Barile offre una rispettosa e non invasiva ricostruzione della biografia rosselliana, dalla nascita a Parigi nel 1930 agli esili londinesi e newyorkesi (in fuga dalla persecuzione fascista che l’aveva brutalmente resa orfana di padre e zio), per soffermarsi sugli studi linguistici e musicali, e sull’approdo italiano – prima a Firenze, in seguito a Roma. Una formazione tormentata e dolorosa, che incise profondamente su Amelia, «dotata di un carattere estremo e di un fragile sistema nervoso, inquieta e inquietante adolescente», fino a minarne per sempre la salute psichica, costringendola negli anni ’50 ai primi ricoveri e a una serie di elettroschock. Fedele alla riservatezza nel privato del poeta («Tendo all’eliminazione dell’io»), Barile si concentra soprattutto sulla sua produzione in versi, a partire dal poemetto  La Libellula del 1958, che viene commentato nelle sue fonti ispiratrici – musicali e filosofiche – e nella sua originalissima struttura lessicale, che si serviva dell’onomatopeia come di frequenti calembours etimologici, di derivazioni e contrazioni e «parole fermentate». La metrica particolare di questa composizione comportava la chiusura del verso con un’interruzione secca, e frequentissimi enjambements, dettati dalla costrizione in 11-13 centimetri fissata dal suono del campanello «che nelle vecchie macchine da scrivere segnalava la fine del rigo». Questo monologo interiore, «fluido snodarsi di suoni e immagini in movimento, che si generano sulla base di processi associativi e musicali», vide la luce solo nel 1969, in un’edizione anomala di fogli A4, con caratteri tipografici che riproducevano quelli della macchina da scrivere. Le edizioni Nottetempo hanno scelto di impaginare i testi rosselliani ruotati orizzontalmente rispetto all’orientamento consueto, proprio per non spezzare i versi, aderendo così all’invenzione metrica del poeta, «che partecipa dell’immagine visiva e della partitura musicale». «E io / lo so ma l’avanguardia è ancora cavalcioni su / de le mie spalle e ride e sputa come una vecchia / fattucchiera, e nemmeno io so dove è che debbo / prendere il tram per arricchire i tuoi sogni, / e le mie stelle».

Altri testi fondamentali presi in considerazione e commentati da Laura Barile sono tratti da Variazioni belliche del 1964, e da Documento del 1976. Del primo libro si sottolineano sia la struttura musicale della lingua «rotta e scorretta», sia la «forma-cubo», lo spazio quadrato in cui Amelia Rosselli comprimeva «la tensione fra l’impulso corporeo e quello logico della scrittura», in un intreccio di serie e variazioni derivate dalla tecnica dodecafonica e dalle produzioni post-weberniane. Testi che intrecciano «passione amorosa, passione musicale e passione civile», dall’esaltazione femminile della sessualità alla tragedia collettiva della storia e della lotta di classe («Caduta sulla linea di battaglia. La bontà / era un ritornello / che non mi fregava ma ero fregata da essa! / La linea / della / demarcazione tra poveri e ricchi»): poesie spesso di difficile decifrazione, ma da seguire «col corpo», aderendo fisicamente ad esse, e «abbandonando la pretesa di capire tutto». Dell’ultimo volume pubblicato in vita da Amelia, vent’anni prima della sua scelta di morte volontaria, «tormentata dalla malattia nervosa, da allucinazioni uditive e da una forma di mania di persecuzione di tipo politico», Laura Barile commenta pochi versi programmatici, che è qui giusto e commovente riportare: «Conto di farla finita con le forme, i loro / bisbigliamenti, i loro contenuti contenenti / tutta la urgente scatola della mia anima la / quale indifferente al problema farebbe meglio/ a contenersi. Giocattoli sono le strade e / infermiere sono le abitudini distrutte da / un malessere generale. / La gola nella montagna si offrì pulita al / mio desiderio di continuare la menzogna indecifrabile / come le sigarette che fumo».

 

«succedeoggi», 20 marzo 2015   e  «Leggendaria» n.111, maggio 2015