FABRIZIO BERNINI, L’APPRENDIMENTO ELEMENTARE – MONDADORI, MILANO 2011

Fabrizio Bernini (1974) ha pubblicato questo volumetto di versi nel 2011, a un’età in cui si cominciano a mantenere le posizioni acquisite, a raccogliere frutti, a considerare il reale nella sua concretezza. Eppure le sue poesie (di stampo e ambientazione dichiaratamente pavesiane, con il contrasto un po’ datato tra città e campagna, infanzia e età adulta, prosaicità e sogno) esprimono tutta la sospesa disillusione, la mancanza di coraggiose prospettive future, l’estraneità a una storia solo subita, della generazione degli under 30, votata alla precarietà e alla rinuncia di ogni speranza.
L’apprendimento elementare”, insomma, di una immodificabile infelicità senza desideri.

La nostalgia per un’infanzia rurale (“la collina davanti, tutta nel sole», «un fosso dove cercavo strani animaletti / nell’acqua”), che tuttavia si intuisce poco allegra e segnata da ricordi o intuizioni allarmanti, cede il passo alla sconfortata descrizione di una realtà periferica, fatta di condomini dalle pareti sottili, esistenze operaie o piccolo borghesi, rassegnate, invecchiate: tra anziane coppie silenziose e abitudinarie, e giovani privi di iniziative, di fantasie, di amori: “Se mi guardo non sono diverso. Un anno fa, adesso. / Nemmeno uno sfregio, nemmeno i capelli pettinati / in un altro modo”, “A colazione mio padre mi guarda di sfuggita / mentre succhia dalla scodella”.

Una poesia narrativa, la sua, che evita stilemi tradizionali eppure non tenta alcuna sperimentazione formale, e spesso si rifugia nelle sentenziosità di un verso finale asseverativo, a ribadire un punto fermo che teme di essere messo in crisi, interrogato, discusso: “L’estate verrà”, “Trinciato dalla lentezza”, “Oggi cominciano i saldi”, “Ciò che siamo è invulnerabile”, “E il tempo sembrava di pane”, “Mi è indispensabile”. Per cui la sua dichiarazione di poetica diventa lo specchio severo e inconfutabile di una dichiarazione di vita, quasi rassegnata al fallimento, alla perdita, all’inazione. “Non ci sarò per il bene e l’oggetto, / resterò a distanza, sull’intercorrere/ che divarica la storia”.

 

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27 novembre 2016