GIOVANNI COSTANTINI, ATTRAVERSANDO LA SENILITA’ – NOMOS, BUSTO ARSIZIO 2013

Giovanni Costantini è sacerdote da più di cinquant’anni, e ha insegnato al Seminario di Vicenza per nove lustri. Ma da più tempo ancora è poeta, avendo iniziato a scrivere versi da bambino, con passione indefessa e ordinata, con puntigliosa consapevolezza dell’originalità della sua voce.
Nel corso delle sue giornate, quando è libero dagli impegni presbiteriali o di comunità, prende appunti su tutto ciò che legge e impara dal mondo, catalogando il suo sapere in inflessibili schedari. Dopodiché compone le sue poesie: non edulcorate, retoriche o falsamente devote come quelle cui ci ha abituato tanta letteratura religiosa. I suoi versi sono duri, caleidoscopici, quasi apocalittici, mai consolatori: icastici e frantumati anche nella disposizione grafica sulla pagina, sfalsati sul rigo, punteggiati da lettere maiuscole persino all’interno delle parole. Ogni poesia è articolata in diversi brani e chiosata alla fine da didascalie esplicative. Perché si tratta di versi non facili, mai banali, che hanno portato Raffaele Crovi a definire don Costantini «il più grande poeta cattolico italiano».
Senz’altro un poeta vero, e diverso da tutti, che non si rifà ad alcuna tradizione novecentesca. Invece, leggendolo, vengono in mente i Salmi, i Profeti, per il vigore e la luminosità del suo dettato poetico, e per l’infiammata ispirazione che lo sostiene. Quindi, Sacerdos in aeternum, lontano da qualsiasi annacquamento della fede, incastonato pervicacemente nei due millenni della Chiesa, pastore e gregge, ministro e popolo: vocatus da un Dio potente e magnanimo, non solo a una missione clericale, bensì a un compito ancora più esaltante e impegnativo. Cantore della divinità, di Colui che chiama- con termine dedotto dal profeta Daniele, e ripreso da Dionigi Areopagita nelle sue invocazioni- «l’Antico dei Giorni».
Perciò anche Poeta in aeternum, poeta innamorato della Parola, interprete che si muove tra invenzioni linguistiche azzardate e neologismi spiazzanti, in una visionarietà che si avvicina e supera spesso quella dei più infuocati mistici medievali. E come sa leggere la sua poesia, con quale spaventosa forza interpretativa, che quasi intimidisce chi l’ascolta!
In questo libro (delle decine che ha composto, quasi tutti inediti, o pubblicati in tirature limitate) il tema affrontato non è propriamente religioso, ma in qualche modo rimane un tema sacro: la vecchiaia, gli anni ultimi, con le loro miserie e la loro gloria, in una sorta di De Senectute meno apologetica, anzi talvolta crudele ed esasperata. Sono sei capitoli, che segnano un crescendo di significato, dal disfacimento del corpo a una serena accettazione del declino verso la morte, questa «Signora grigia». Niente di più distante dall’età «mollem etiam et iucundam» di ciceroniana memoria, ma semmai, sempre per dirlo con le parole dell’arpinate, «onus Aetna gravius»…
Senectus ipsa morbum, quindi, peso gravoso, a volte repellente, che il poeta Costantini non fa nulla per edulcorare, profumare, relativizzare. La vecchiaia è l’anticamera della morte, qualcosa che ci aspetta tutti e che ci rende menomati, inabili fisicamente, tardi psichicamente, spesso sterili nei sentimenti: Peso a se stessi, come nella prima sezione, in cui è più evidente e penoso il crollo del corpo («sulle ginocchia contorte come pruni», «e le mani si artigliano in silenzio», «dall’obesità si acciabatta dovunque», «d’un solo dente e le gengive a fosse», «S’inunghia in lerce lunule. / La pelle delle mani / a rinsecchirsi. / Via via s’invetra», «Per midolli riarsi / in ossi rosi», «Raffreddandosi adagio: / invetriato nella propria colla», «nella seconda e lenta bavosità».) Sono versi inclementi, spietati, che non ammettono morbidezze diplomatiche. Il vecchio «ingobba», «si rattrappisce», per cui alla fine «Lo inlettano: fagotto / che bofonchia e più stronfia / contro le sponde / a un vaporar di biacca».
La seconda e terza sezione della raccolta sono, se possibile, ancora più feroci, perché descrivono la realtà odiosa degli anziani malsopportati nell’ospizio o a casa. E lo fanno talvolta con macabra ironia, addolorato sarcasmo: «Là se ne sta, / polsi dietro la schiena, / ed altro non gli tocca che guardare», «E le vecchie da aiuti infumiganti / vengono sciacallate / per avarizie vili, morso a morso», «E continua a parlare, / a pronunciare quello che le sguscia / dalla testa decrepita», «Oggi il progresso, con l’antilingua sua, / case-alberghi le chiama. / E nel mangiare muto / soltanto lo stonare dei cucchiai». Infermieri, parenti e volontari assistono come possono, spesso controvoglia o per un malinteso senso del dovere: «gli interi sindacalizzati / si sentono al sicuro da qualunque eroismo», «Infermiere che sbagliano dentiere», «intolleranza d’infermiere / che traleggono farmaci scaduti, / ansiose d’una rapida agonia».
Il poeta e sacerdote si commuove nel seguire l’anziana che al ricovero sbaglia stanza, aspetta la visita dei nipotini, o i coniugi che si fanno compagnia fino all’ultimo respiro e poi sconsolati si lasciano morire. Sorride al ricordo di un’ottuagenaria che si innamora del suo medico, confondendolo con il fidanzato di settant’anni prima. O ancora ironizza sui vecchi che si imbellettano ridicoli per mascherare l’età, o si prestano ai media ringalluzziti da una parvenza di successo: «Oh qualcuno s’illude di servire, / che so, al mercato della pubblicità. / Rampante a sabbiature / o, almeno, d’una colla per dentiere».
Lo «spensiero debole» dell’odierna civiltà dei consumi sfrutta i corpi e le anime fino a un’indecorosa solitudine pre-morte («Negli Usa e getta / settantamila abbandonati l’anno», «Più questo mondo d’atei / gli rifiuta la Pietas degli Antichi Pagani»). Oppure la «nuova Gerontocrazia» insegue il mercato delle Pantere Grigie con proposte indecorose di viaggi e divertimenti adolescenziali, o proponendo «farmaci / che illudono al durare / dell’eros quei decrepiti: /spettacolo penoso».
Cosa rimane a questo punto, per non atrofizzare del tutto l’umanità che ci resta a disposizione, per recuperare un rispetto e una solidarietà troppo spesso sviliti e calpestati di fronte alla debolezza del senescente? Aiutarli a risvegliarsi,  Ringiovanire, propone il poeta, esorcizzare la vecchiaia recuperandone la dolcezza e armonia: «La libertà verace di dedicarsi / al pensare prudente», rincorrendo «la verità struggente / del ricordare… / lungo i sentieri della curiosità / di sua trepida infanzia».
E l’esortazione che ne deriva è vitale, concreta: «Non elogiare quei bei tempi andati; / il presente è il tuo tempo, / stolto che ti martelli nell’inerzia», «Sgàngati alla ventura / d’ogni giorno donato».
Il  Viaticum dalla vita è, nell’ultima sezione del volume, un discreto e saggio accompagnare i giorni dell’ombra verso il declino finale: «Qualsiasi senescenza / sprofonda adagio, d’occhi cimiteriali / che imbuiano più fissi». Accettare, quindi, che la ruota giri per tutti, lasciare posto ad altri che verranno ad occupare il nostro posto, senza assurde ribellioni o poco dignitosi infingimenti.
I versi qui assumono una sentenziosità proverbiale, gnomica: «Stolta la voglia di restare giovani / e vani gli esorcismi contro il morire». E l’ uomo di Dio fa sentire la sua voce più potente e pregna di fede : «L’arte dell’adattarsi a quel che accade, / perché vi è la fessura / per cui l’Eterno irrompe… // Rassegnarsi a invecchiare: / l’unica strada per un cammino lungo / fino a varcare / esattamente all’Oltre», «Con te, Sposo, Volatile / lo Spirito s’inAngela un istante».
Il lettore si sarà accorto e avrà apprezzato il linguaggio poetico di don Giovanni Costantini, così coraggiosamente innovativo e inventivo, quasi privo di rime -considerate espediente letterario troppo facile e abusato – ma ricco di neologismi, di vocaboli volutamente storpiati o desueti, a rincorrere un senso più profondo della parola, volta a sferzare occhi e orecchi abitudinari e pigri, a pungolare un interesse troppo spesso scialbo e viziato dalla consuetudine in chi si confronta con la poesia.
E avrà modo, leggendo questo libro così compatto e coerente, di riconoscere un poeta importante e purtroppo sottovalutato, che oltre ad una consistente operazione di novità nel linguaggio, propone contenuti di solida rilevanza, con voce cristiana di antica pietà , facendo eco al Salmo 92 : «Nella vecchiaia daranno ancora frutti».

 

Prefazione al volume