FERDINANDO CAMON, LA MIA STIRPE – GARZANTI, MILANO 2012

Nel 1978 Ferdinando Camon aveva pubblicato  Un altare per la madre, romanzo epico e tenerissimo che concludeva “il ciclo degli ultimi”, fondendo abilmente storia privata e pubblica nell’omaggio commosso e riconoscente alla figura materna. Oggi torna, con questo bel volume edito da Garzanti, su quegli stessi temi, rivisitati con uguale e partecipe emozione, ma con una più matura e sottilmente ironica visione di ciò che in questi trent’anni siamo riusciti a raggiungere, o a perdere, come collettività. E in uno stile più sciolto e leggero che nelle precedenti prove. Questa volta il punto di partenza, sempre radicato nella vicenda della famiglia originaria dell’autore, è la malattia del padre, colpito da ictus e privato della facoltà di parlare. Intorno alla sua stanza d’ospedale si radunano i figli ormai maturi, e tutti in qualche modo estranei. Soprattutto ha tralignato lo scrittore, allontanandosi dalla civiltà contadina che l’ha partorito e cresciuto, dai suoi valori eterni e soffocanti, guadagnando in consapevolezza e forse in infelicità. Eppure al capezzale del padre, il figlio diventato intellettuale, opinionista, narratore premiato e tradotto in tutto il mondo si ritrova a considerare le sue origini come ancora fondanti e vive, fertili e castranti insieme: sente la colpa di aver tradito e l’orgoglio di aver osato percorrere nuove strade, rinunciando a tradizioni millenarie, ma anche a superstizioni ottuse, a insensibilità nei riguardi del mondo naturale e animale. Nel padre morente rivede i suoi lineamenti, quelli dei suoi figli e dei nipoti, le stesse abitudini fisiche e malattie che si tramandano da generazioni. «È come se il suo corpo ricalcasse il mio corpo che ricalca un altro corpo…E’ senso della stirpe, che in dialetto si dice razza…» Ripercorre quindi la storia del nonno, soldato nella prima guerra mondiale e estratto vivo per miracolo da una valanga: la sua fede obbediente alla patria e alla casa reale, che in queste pagine il nipote scrittore stigmatizza con sarcasmo e sacrosanta indignazione, ridicolizzando la figura mediocre di Vittorio Emanuele IV. Ripercorre anche la storia del padre, lui pure combattente nella seconda guerra mondiale, di cui era riuscito a evitare il fronte iniettandosi nel ginocchio acqua infetta. Il padre rivisitato nei suoi anni giovani, nel fidanzamento con la madre «cussì bella» e venerata come una madonna la domenica, in chiesa, nei pochi incontri precedenti il matrimonio. Nonno e padre avevano fatto entrambi un voto, mai mantenuto: quello di andare a Roma in pellegrinaggio dal Papa, in atto di riconoscenza e di sottomissione. Tocca al figlio scrittore, ora, rispondere a quella chiamata: al suo cattolicesimo mai rinnegato, ma certo più annacquato e critico di quello dei parenti contadini. Il papa tedesco lo convoca insieme a 250 artisti internazionali cui viene demandata la trasmissione del messaggio cristiano nel mondo: onore e onere. Orgoglio, trepidazione animano Camon che si sente eletto e trascurato contemporaneamente, quando intuisce che la sistemazione degli invitati dipende dalla loro rilevanza mediatica: ai primi posti nella Cappella Sistina, più vicini al Pontefice e sotto lo sguardo paralizzante e potente del Cristo michelangiolesco sono i cantanti, gli attori di commedie volgarotte, il regista freudiano, il tenore cieco. Eppure lui, ironico e contrito, si genuflette di fronte al Vicario di Cristo, offre alla sua benedizione le fotografie del nonno e del padre che nasconde sotto la camicia, a implorare un viatico per tutta la sua famiglia: antenati e discendenti, i due figli lontani, i nipotini così diversi e così uguali a chi li ha preceduti nel sangue e nei pensieri. Le ultime pagine del romanzo, divertenti e intenerite, raccontano un viaggio in treno verso Venezia con le bambine del figlio, docente universitario in un’altra città: i loro discorsi ingenui e modernamente smaliziati insieme, la loro visione del mondo multietnico in cui stanno crescendo e la loro irriverente religiosità, tanto diversa da quella del Veneto arcaico da cui vantano le radici. Nipotine tuttavia così simili nel profilo e nei gesti inconsapevoli alla bisnonna analfabeta, la madre di Camon «cussì bella». Destini differenti, un’unica stirpe.

«incroci on line» 11 giugno 2014