ROSSELLA FROLLA’, IL SEGNO DELLA PAROLA – INTERLINEA, NOVARA 2012

L’ideologia sottesa a questa antologia di poesia contemporanea curata dalla giovane studiosa Rossella Frollà non tenta in nessun modo di mascherarsi o di annacquarsi in diplomatiche posizioni di comodo, ma si rende orgogliosamente esplicita sia nell’introduzione, sia nelle approfondite ed esaustive presentazioni di ogni autore. Privilegiando una «poesia come spazio individuale e soggettivo nelle sue diverse linee e curvature che simboleggiano l’Essere», Frollà dichiara apertamente il suo credo, più etico che estetico, in affermazioni sparse e diffuse in tutto il volume, talvolta fraintendendo o decisamente violentando l’intenzionalità stessa dei poeti presi in esame: «La tenacia dell’uomo, la sua vitalità è nello Spirito che non tiene in alcun conto il suo involucro, il corpo, e contrappone a questo guscio custode della precarietà della vita l’immanenza di quell’amoroso senso che è la parola ultima dei sentimenti, delle emozioni e delle pulsioni che mai abbandonano l’uomo. Eterni galleggiano a fior d’acqua sopra il tempo eros e amore, gioia e dolore, fatica e passione (pag.121)».

La parola poetica viene quindi esaltata nel suo significato assoluto ed epifanico, di mistica rivelazione della misteriosa e tragica bellezza dell’esistente: «Il miracolo che si compie col suono e con la parola è quello di rendere l’ordinario o un qualsiasi evento un qualcosa di prodigioso e di straordinario che ci riconsegna il valore ultimo delle cose» (pag.15). Quindi la terminologia utilizzata dall’autrice rivela senza equivoci la sua evidente propensione ad una interpretazione spirituale della realtà e della letteratura: levità, autenticità, ricerca, anima, luminosità, prodigio, incanto, quiete, saggezza, miracolo, vulnerabilità, stupore, sorpresa, bellezza, natura, pensiero, sono i vocaboli che più si rincorrono in queste pagine. Con una presenza quasi ossessiva del sostantivo francese «rêverie». Sottolineando un polemico distanziamento dal «nulla di un gusto medio livellato da una cultura commerciale mediatica di massa», Rossella Frollà ignora volutamente tutta la ricerca sperimentale della poesia contemporanea che privilegia il significante sul significato, ma anche la poesia e la critica che più si compromettono sul fronte dell’impegno sociale e politico, del giudizio morale sulla storia e sulla cronaca, o che al contrario utilizzano giocosamente il divertissement e l’ironia. Una scelta di campo e di fede precisa, la sua, che si concretizza nella presentazione selezionata di dieci nomi, offerti ai lettori con un’ampia antologia di versi editi e inediti, prefati da dense, ammirate e affettuose pagine di critica. Si va quindi da Franco Loi, il più anziano («tonalità prorompente con sonorità popolari mescidate a un Io lirico quieto e delicato, di vena espressionista e dantesca»), attraverso il compianto Fabio Doplicher e alla «geografia del mito» di Umberto Piersanti, percorrendo «l’amore faticoso della vita… in un dettato lirico asciutto e chiaro» di Maurizio Cucchi, e «la ricerca spasmodica e rovente della perfezione» di Milo De Angelis, per approdare alla poesia «giocosa e scalza, fiorita, … lineare come il chicco di grano» di Claudio Damiani e «alla lirica presente al suo tempo… che gode di una spontaneità mai troppo fantastica, ma si posa come rosa fresca sulla strada» di Davide Rondoni. Il volume si chiude con i versi del più giovane Alessandro Moscé (Ancona 1969), «un sognatore che afferma la propria esistenza attraverso immagini oneste», ma si sofferma anche sull’unica presenza femminile antologizzata, Giovanna Rosadini. Di lei si riporta una bella poesia dedicata ai figli («Eccoli, nei loro giorni che si mangiano/ i nostri, luminosi e levigati come anche noi/ siamo stati…»), con altri versi segnati dalla sofferenza fisica dovuta a un tragico incidente («Ma perché io, mio dio, perché a me, proprio io?»), fino a prove inedite, foriere di un auspicabile sviluppo futuro, dedicate al mondo e al linguaggio ebraico. E forse la scelta più originale, nelle proposte di Rossella Frollà, è quella di un poeta riservato e sottovalutato, quale Giancarlo Pontiggia, di cui si sottolinea «il verso lontano da ogni contaminazione contemporanea…colto e raffinato, di matrice aristocratica», ben evidenziato in proposte di alta resa stilistica come questa: «Niente è più arduo di ciò che appare / semplice, affondando in un ginocchio / che sanguina, o nella polvere di un viottolo / che si curva per sempre, verso // un altro confine, quando / un fumo indiano sale, nell’aria / spessa e odorosa, e già diviene potenza / di una nuvola sposa».

Se quindi Rossella Frollà ha l’onestà di rivendicare fieramente la propria visione ideologica, indicando esplicitamente quali sono i fini e i confini in cui secondo lei deve muoversi la poesia («I poeti presenti in questo libro sono animati da un dettato profondo e quasi totalizzante della vita, lo stesso che ha reso autentico il mio interesse verso la massima centralità del testo»), forse pecca per alcune ingenuità espressive e involuzioni sintattiche che spesso inficiano la credibilità della sua lettura critica, come ad esempio nelle pagine 268-271, in cui l’entusiasmo recensorio trascina l’autrice verso considerazioni scarsamente condivisibili, anche formalmente.

 

«criticaletteraria», 2 dicembre 2013