MASSIMO GEZZI, IL NUMERO DEI VIVI – DONZELLI, ROMA 2015

Massimo Gezzi (1976), marchigiano residente oggi in Ticino, pubblica da Donzelli questo volume di poesie fortemente connotate da una severa esigenza etica, e dalla volontà di aderire al reale, anche quando esso si proponga a noi nelle sue imperfezioni, nelle sue distratte ambivalenze. C’è un continuo interrogarsi, in questi versi, su cosa si debba intendere per esistenza, anzi per coesistenza con se stessi e con gli altri, nella vita familiare e sociale, nella contingenza quotidiana: «Mentre sei qui che respiri e guardi i boschi…». E da questo assillante rimettersi in discussione, Gezzi fa derivare propositi e indicazioni di comportamento, suggerimenti morali, in una tensione didascalica che forse niente ha da spartire col cristianesimo, o con l’impegno politico, ma senz’altro rimane un richiamo potente alla solidarietà e alla comprensione umana: «Difendi questa luce, se sei un nulla / come tutti. Difendi questo nulla / che non smette di essere. Smetti di tirare / righe scure, di cancellare. Tocca il tavolo, la carta. / Impara un’altra volta a fare di conto: / non sottrarre allo zero, aggiungi uno».

Troviamo nella scansione delle sezioni e nella disposizione delle poesie quasi un’ossessione aritmetica, che partendo dallo zero definisce titoli e successioni secondo i numeri cardinali, nell’auspicio di una crescita di consapevolezza e di generosità. Ma sempre con la discrezione di chi non ha certezze, non ama imporsi, nutre in sé più interrogativi che affermazioni: «Non hai torto, non hai ragione»; «c’erano tutte le risposte, / non ce ne sarebbero state mai».
L’osservazione del mondo è attenta e partecipe: ambienti, oggetti, luoghi, corpi (con una particolare sensibilità verso persone sofferenti, malate, anziane) vengono raccontati con diligente scrupolo documentaristico, esprimendo un intenso gusto visivo per i colori, gli interni delle case e la natura.
Da insegnante, Gezzi sembra prediligere il rapporto con i giovani, dentro e fuori la scuola, soprattutto quando li avverte indifesi e spaesati. Da padre, dedica tre belle poesie alla sua bambina, già immaginandola in un domani che potrebbe delinearsi sia roseo sia problematico, ma comunque sempre arricchente e simbiotico: «Ogni giorno ti indovino in qualcuna, / ti spio nel futuro, ti proietto / negli spazi che saranno solo tuoi. / Quando non ti vedo, e ho paura che non arrivi, / butto un libro lì vicino, / tengo un posto per te».

Da poeta, sembra cercare un timbro maggiormente sicuro e personale, essendo forse consapevole della propria originalità più contenutistica che formale, e riconoscendo un debito evidente verso la tradizione italiana (si avvertono echi di Luzi, e della musicalità minimalista di Pusterla) e francese (Jaccottet e Bonnefoy). Massimo Gezzi conserva, come molti altri poeti a lui coetanei, una sorta di manierismo descrittivo, concretizzato spesso in elenchi tripartiti di sostantivi che danno un ritmo cadenzato al verso: «Pareti, porte chiuse, fiumi che si disperdono»; «i libri, / le cornici, le piante tese»; «scheletri / composti, tibie, crani fracassati»; «arcate, muri, / volte di granai»; «due orecchie, due gambe, due polmoni»; «le pentole, / lo zucchero, le piante del balcone»; «la pazienza, la nascita, l’istante dell’amore». E sottolinea coerentemente la sua scelta di mettere una sordina espressiva a toni e modi, optando per una delicatezza del sentire che non risulti mai coercitiva, ma sappia suggerire «il bene delle cose che esistono»… «sperando che il bene sia più ubiquo del male».

 

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www.sololibri.net/Il-numero-dei-vivi-Massimo-Gezzi.html       2 settembre 2015