GIOVANNI POZZI, TACET – ADELPHI, MILANO 2013

L’essere umano «è un’entità fatalmente duale, maschile e femminile, corporeo e spirituale, io e tu». Così affermava in un suo scritto del 2001, ora ripubblicato da Adelphi, Padre Giovanni Pozzi, illustre letterato e monaco ticinese, studioso di testi sacri e mistici. Ma al colloquio, al rumore, al confronto polemico, a tutto ciò che porta a confondersi nel pubblico, spesso è da preferire l’isolamento e il tacito raccoglimento. Quindi al silenzio, alla solitudine, alla contemplazione sono dedicati questi brevi e intensi contributi meditativi, che richiamano severamente il lettore alla necessità di «sottrarsi alla banalità quotidiana», nella ricerca di uno spazio interiore che sappia aprirsi alla riflessione, fuggendo il caos del molteplice «nell’anelito di giungere all’inseparabile». I «solitari in Dio» (gli eremiti, gli stilisti, i dendriti…) hanno cercato l’assoluto nella mortificazione sessuale, nel digiuno, nel deserto, convinti che nel rifiuto del mondo si celasse la risposta alla loro ansia spirituale. I monaci trovano nell’isolamento delle loro celle il rifugio dall’inquietudine e dal turbamento («pax in cella, foris bella»), convinti che non si sale a Dio solo attraverso la scala di Giacobbe, ma anche scendendo nella tomba di se stessi. E quindi immergendosi nel silenzio, che è rinuncia all’imposizione di sé e insieme capacità di ascoltare e conservare la parola altrui. Parola che risulta tanto più preziosa e apprezzabile quando si presenta silenziosamente in un libro letto: «Amico discretissimo, il libro non è petulante, risponde solo se richiesto, non urge oltre quando gli si chiede una sosta. Colmo di parole, tace». Conquistare un silenzio che sappia farsi memoria, preghiera, contemplazione, in un itinerario dal buio alla luce: questa è la proposta di salvezza di Giovanni Pozzi.

«Accademia del Silenzio», 10 dicembre 2013