GIORDANO BRUNO GUERRI, POVERA SANTA, POVERO ASSASSINO – MONDADORI,
MILANO 1993

IDA MAGLI, SULLA DIGNITA’ DELLA DONNA – GUANDA, MILANO 1993

Meritano un’unica riflessione due libri usciti quest’anno, uno prima dell’estate, l’altro poche settimane fa. Libri di diversa mole, diverso impianto formale e concettuale, diverso autore: Giordano Bruno Guerri, storico-polemista-studioso del costume, ha ripubblicato una sua ricerca sulla santità di Maria Goretti che aveva fatto scandalo otto anni fa; Ida Magli, docente universitaria-giornalista-antropologa (quindi dotata del riconosciuto diritto a esprimersi con indiscutibile competenza su tutto: uomo donna sesso scienza religione, e chi più ne ha più ne metta) ha rielaborato alcune sue recenti prese di posizione sulla violenza perpetrata sulle donne dal pensiero cattolico. Questi due volumi hanno il comune denominatore di parlare di donne (e pertanto di sesso: i due termini sono ormai diventati su qualsiasi pulpito un’endiadi indissolubile), ma mirando soprattutto a colpire la coercizione culturale, la violenza sociale, lo sfruttamento ideologico messo in atto dalla gerarchia ecclesiastica nei riguardi del mondo femminile. Giordano Bruno Guerri ha condotto un’operazione a nostro parere legittima già nella sua contestatissima edizione dell’85, compiendo ricerche, effettuando rilievi, dibattendo teorie riguardo alla morte e alla successiva santificazione di Maria Goretti. Il suo era, allora come ora, un libro a tesi, intento a dimostrare che «esibita come martire della purezza, fu invece martire della miseria e dell’ignoranza, come il suo assassino. Perché Maria non ha mai contato, non ha mai voluto o potuto, in vita e in morte, prodotto e vittima di sistemi a lei misteriosi». Opinabile, se si vuole, tuttavia legittimamente perseguita e dimostrata: per contrastare le tesi di Guerri, Giovanni Paolo II istituì una Commissione di studio che riscontrò nella narrazione ben 79 errori di documentazione o falsificazioni. A tale analisi ora Guerri risponde ripubblicando il libro senza alcuna variazione, ma aggiungendo alla fine un capitoletto in cui si difende da ogni confutazione degli esperti, e così compiendo un’operazione editoriale scaltra e meditata, perché il suo lavoro, anche se può infastidire per quel tanto di pruriginoso che si avverte tra le righe, è comunque un buono scoop giornalistico, vivace e coinvolgente.
Ben altra è la portata del libro di Ida Magli, che si presenta, già dalla lettera aperta di prefazione, più violento, duro, ideologicamente motivato e armato del pamphlet di Guerri. Anche lo stile è diverso: asseverativo, perentorio, aggressivo, molto molto più “virile” di quello, addirittura impositivo. L’obiettivo dichiarato è, anche qui, la difesa della donna, anzi delle donne come soggetti storici: in realtà il sesso femminile è un pretesto, che appare solo nella seconda parte del volume, per un attacco feroce e mirato al pontificato di Wojtyla. Ida Magli discute, contesta, affronta polemicamente, con le armi della dottrina e dell’ideologia, ma soprattutto con quelle più caustiche e inusuali (visto l’oggetto della polemica) del sarcasmo, dello sfottò cattivo, il Papa polacco, criticato non solo nel suo ruolo e nel suo carisma, ma anche come figura umana («Wojtyla è un vincente… un uomo autoritario che non ammette il minimo dissenso… un uomo terribile, un capo assoluto, totalitario…»). Il Papa è inchiodato a un cliché vignettistico, in cui i tratti che più lo delineano sono la potenza, la virilità, il delirio di onnipotenza, la “polonità” come destino di sacrificio, sofferenza ed eroismo, che secondo la Magli lo avvicina nello spirito a Chopin: questi genio, Wojtyla eroe di una stessa idea mitica della Polonia. La studiosa in queste pagine animate da una ferocia spropositata, di cui forse solo lei capirà le motivazioni più profonde, arriva a scrivere banalità sconcertanti per convalidare delle affermazioni su cui siamo tutti d’accordo: che la Chiesa cattolica sia malata di misoginia (ma non più di tutte le altre religioni mondiali), che la donna sia tuttora ridotta alla sua funzione biologica, e valutata in base all’uso che fa del suo sesso (e purtroppo non solo dalla Chiesa, ma anche dallo Stato, dalla società civile laica e rampante, ecc.), che la corporeità sia erroneamente e ossessivamente appiattita nella funzione copulatoria…Si tratta di considerazioni talmente vere e risapute, che non si capisce perché la Magli ci si accanisca con tanto fervore. Sulla posizione contestata e difficilmente condivisibile di Wojtyla riguardo agli stupri delle donne bosniache, abbiamo letto pagine sottili e più convincenti nella loro correttezza, di quanto non siano i parossismi della Magli. Giustamente l’autrice dedica la prima parte del libro a una dotta dissertazione sul potere che, da sempre, trova la sua giustificazione e la sua radice nel sacro (inteso come codificazione del controllo, dell’autorità, espresso «con norme coercitive e sacrificali»): ma tale non è solo il potere religioso, quanto tutti i poteri, politici, economici, militari e, perché no, della cultura accademica o giornalistica, quando si paluda di sacro per mantenersi inaccessibile, incontestabile… Non solo la Chiesa, quindi, non solo Wojtyla usano il sacro – e il potere – contro le donne. Baudelaire, immaginoso, rivoluzionario, grande poeta dell’800, scriveva in  Mon coeur mis a nu  questa stupidissima frase: «Mi sono sempre stupito che si permettesse alle donne di entrare nelle chiese. Che conversazione possono mai avere con Dio?» Ridiamo di questa idiozia di uno spirito sublime, e leggiamoci le conversazioni con Dio di un’altra grande, Simone Weil, donna, ebrea, quasi convertita al cattolicesimo. Baudelaire ha scritto ancora: «I miscredenti se non temessero nulla, riderebbero. Se si arrabbiano, è perché temono». Ida Magli è troppo arrabbiata.

«L’Arena», 9 dicembre 1993