ELDA GUIDINETTI, IL CORTILE INTERNO ESTERNO – CASAGRANDE, BELLINZONA 1988

Il cortile interno esterno è il titolo del primo dei dieci racconti di Elda Guidinetti pubblicati dalle Edizioni Casagrande di Bellinzona, ed è anche il titolo del volume stesso, a suggerire una condizione essenziale di scrittura, un occhio volto a esplorare tutte le possibilità di implosione-esplosione narrative. Dieci storie, quindi, ma non dieci trame. Siamo di fronte, più che altro, a situazioni immobili, a stasi, analizzate da diversi punti di vista. Lo stesso oggetto, lo stesso personaggio viene inquadrato sotto differenti ottiche, attraverso lo spostamento di un fascio luminoso che lo inonda facendolo muovere magari solo millimetricamente. La tecnica pare essere quella cinematografica: campo lungo, mezzo campo, primo piano. Il risultato a cui tende l’autrice è la totale oggettivazione dell’ episodio, l’esclusione di qualsiasi interpretazione soggettiva: si lasciano parlare le cose. Frasi ripetute ossessivamente, oggetti ingranditi fino a confonderne i contorni oppure analizzati minuziosamente, catalogazione asettica del reale: tutto sembra voler ribadire l’estraneità di ogni fenomeno alla comprensione umana. Un esempio emblematico di questo stile è il racconto Solo se giovane e bella, storia di una addio tra amici, di un abbraccio esaminato al replay visto da lui, visto da lei, visto dall’altra, visto dal gruppo. Gesti rallentati, ripetuti, sovraccaricati e improvvisamente svuotati di ogni simbologia. Non c’è altro. Non c’è un prima, non c’è un dopo. Dei personaggi intuiamo solo il movimento, spesso senza comprenderlo: prendiamo atto di quello che fanno, di quello che dicono, che è in genere qualcosa di inessenziale. Un altro racconto molto bello e indicativo è Quel mongoloide, in cui il protagonista è introdotto quasi casualmente in scena (mentre figure che sembrano di primo piano e invece poi risultano di sfondo giocano a spruzzarsi nella piscina di un albergo, e altri ospiti prendono il sole, chiacchierano); il mongoloide compie una serie di gesti meccanici, assurdi: si spoglia, ripiega e stira varie volte i pantaloni, si riveste, va a giocare -lui ventottenne- con dei bambini a “regina reginella”, viene preso in giro, si arrabbia. Ancora, nel racconto che dà il titolo al libro, in un cortile interno a un muro, ma esterno rispetto al ristorante cui sta di fronte, avventori diversi, a gruppi o isolati, che sembrano ignorarsi a vicenda (se non fosse per l’occhio dell’impietosa telecamera che li inchioda), sono accomunati dalle loro reazioni di differente intensità, ma ugualmente imbarazzate, davanti all’accoppiamento di due gatti, stizzosi e miagolanti. La storia a mio parere migliore del volume sottolinea un carattere costantemente presente anche negli altri: l’estraneità, l’impossibilità di capirsi tra i due sessi, insieme con una violenta attrazione fisica, impastata però da un pesante disprezzo intellettuale, per cui la donna è oggetto di desiderio carnale e insieme di avversione. In Latin lover, dunque, una coppia –forse ticinese- invitata a casa da un’amica nordica, assiste incredula ma indifferente al rituale di umiliazione cui un latin lover locale costringe l’ospite amante, presa in giro per la sua scarsa conoscenza della lingua, ridotta a puro oggetto di piacere, mortificata in un ruolo in cui è solo pedina. Usando una tecnica molto vicina a quella dell’ école du regard (lo sguardo impassibile rivolto agli oggetti, e l’annullamento del personaggio ricorda il Robbe-Grillet di Nel labirinto), Elda Guidinetti è maestra nel creare inquietudine e malessere nel lettore, con questa sua straordinaria capacità di abolire la storia, di trascinare il tempo della narrazione in un presente assoluto, verso una meta irraggiungibile, un luogo assente; la «fine senza inizio», per dirla con un suo titolo, metafora di un assurdo vissuto quotidianamente.

 

«Agorà»(Svizzera), 15 marzo 1989