INTERVENTO SU POESIA, LINGUAGGIO E COMUNICAZIONE

Majorino nell’introduzione alla sua recente antologia poetica invitava i lettori, da quelli più occasionali ai più “impastati” e interessati, a contribuire con critiche e materiale diverso al riesame del ruolo della poesia, degli elementi che la compongono o condizionano, del significato che essa riveste per molti compagni. Io non credo che questo lavoro si possa fare senza impegnarsi in un confronto-scontro e senza un minimo di studio comune; per cui una volta chiusa questa iniziativa del QdL di fornire una serie di articoli-strumenti per il dibattito, tutto resterà come prima, la pagina letteraria rimarrà scollata e affidata all’iniziativa di singoli volonterosi, ecc. Comunque, tanto per dare qualche indicazione a chi sentisse l’esigenza di conoscere un po’ lo stato attuale del dibattito sulla poesia, sabato 21 e domenica 22 gennaio nel Teatro Comunale di Crevalcore (BO) si terrà un seminario su “Il linguaggio nella poesia oggi” cui parteciperanno collettivi redazionali e gruppi da tutt’ Italia. I punti su cui ci si dovrebbe soffermare sono molti: in primo luogo, l’incidenza politica dell’operazione poetica (a cosa serve, se serve, in che modo serve fare poesia); poi, la differenza specifica della poesia di sinistra da quella che si finge neutrale, o si dichiara pura, incontaminata (e questa differenza, secondo me, non può essere di soli contenuti, ma deve anche risultare dalla forma): ancora, come evitare che a scrivere siano sempre gli stessi, come democratizzare la poesia.
1) Mi sembra che politicamente, oggi, il rilievo della poesia ufficiale sia minimo, la sua incidenza in pratica nulla. E giustamente, perché ogni arte si ritrova lo spazio che si è meritato. Diciamo allora che la poesia è stata sempre un’arte aristocratica, rivolta a un pubblico selezionato: un’arte più cortigiana delle altre perché appunto circolante in ambienti colti ristretti. Letta da pochi, quindi scritta per pochi, quindi pubblicata quasi solamente per prestigio. Questa poesia, dal nascere del capitalismo, si è dovuta sempre far perdonare di essere un’operazione commerciale perdente. E il perdono l’ha ottenuto appunto scegliendo di essere innocua. Poiché la poesia “non rende”, deve almeno “non danneggiare”. Innocua, quindi gratuita, quindi nobile. Ma anche spuntata, inconcludente, non incisiva. Chiaro che con queste premesse, la poesia si ritrova ad avere scarsissimo peso politico, non trascina le masse, difficilmente esprime il sociale. Non esiste, oggi, la poesia civile: per fortuna, perché significherebbe che qualche intellettuale si arroga il diritto di interpretare “oracolarmente” le esigenze popolari, che c’è ancora qualcuno che si sente investito a “dare forma” poetica a rabbie, delusioni, scontentezze. Perché molto spesso si spaccia per poesia civile una poesia demagogica o intenerita o consolatoria. Per concludere questo primo punto, la poesia è politica quando parla di un soggetto politico, quindi è rivoluzionaria quando parla di un soggetto almeno potenzialmente rivoluzionario, cioè insoddisfatto e teso in un processo di cambiamento.
2) La poesia di sinistra è perciò veramente tale non tanto quando piange su Mao, o dipinge mari di bandiere rosse, ecc., ma quando chi la scrive lascia trasparire la sua contraddizione di classe, di sesso, la sua alienazione e la sua voglia di cambiare, in un linguaggio che sia anch’esso nuovo: contraddittorio, frantumato, divertito, ironico, come vi pare, ma non scontato, non retorico o non controllato (metterci dentro cento volte “cazzo” non cambia niente, non è neanche tanto originale). Ricordiamoci che forse non c’è nemmeno più la possibilità di scandalizzare, il sistema editoriale pianifica e rende innocua anche la più azzardata operazione poetica, anche la rivoluzione formale della neoavanguardia.
3) Allora il problema fondamentale è che la grossa conquista che si è avuta nel linguaggio, la democratizzazione della comunicazione verbale (nelle radio libere, nelle assemblee) si attui anche nella poesia e nella comunicazione scritta. Siamo già in tanti a scrivere, donne studenti pensionati innamorati precari disorganizzati creativi con lo spray. Penso che dovremmo essere di più; e diffondere (il vecchio ciclostilato è tuttora un’ottima soluzione). Spazi da riempire ce ne sono ancora. Volendo, potrebbe prestarsi benissimo anche la pagina 6 del QdL. Attilio Mangano in una riunione ha fatto notare che sul Quotidiano, prima del titolo stesso, c’è una poesia di Brecht.

«Quotidiano dei Lavoratori», 21 gennaio 1978