MARCEL JOUHANDEAU, TRE DELITTI RITUALI – ADELPHI, MILANO 1996

Marcel Jouhandeau (1888-1979) fu uno scrittore francese da strappare all’oblio e a una sorta di censura postuma, dovuta alla sua fama di autore trasgressivo. Teologo sempre sull’orlo dell’eresia, cattolico praticante ma morbosamente attratto dalla manifestazione del male in tutte le sue forme e perversioni, Jouhandeau fu cronista attento degli anni della ricostruzione postbellica, romanziere prolifico ed elegante, polemista mai pretestuoso. Nel volumetto pubblicato da Adelphi nel 1996, e apparso in Francia nel 1962, Tre delitti rituali (Adelphi, 1996), non è tanto la descrizione di tre crimini abietti che avevano sconvolto la Francia gollista a colpire l’immaginazione del lettore, quanto l’analisi psicologica ambientale di protagonisti e comparse delle tre vicende, molto lucida e distaccata nonostante l’evidente empatia dell’autore, e soprattutto le sue dichiarazioni di principio, a commento ideologico e morale dei fatti. «Ho sempre avuto, e credo lo abbia anche il cielo, un debole per i colpevoli», sconcertante nella sua assolutezza, così Jouhandeau apre il resoconto del primo dei tre delitti, che ha in comune con gli altri due una specie di ritualità magico-sacrale, insieme a una bestiale efferatezza.

Non è il caso, forse, di esaminare da vicino tanta turpitudine, e in fondo neanche l’autore lo fa, se non nell’ultima storia (è la nota critica di Ena Marchi che ci rende edotti sui particolari più macabri). Quello che ci interessa di più sono le dichiarazioni d’intenti di Jouhandeau: «A me sembra che al cospetto di Dio ciascun uomo vivente condivida il peso di tutto il bene e di tutto il male di cui ad ogni istante la nostra specie si rende responsabile…C’è in me una propensione ad addossarmi tutti i peccati del mondo, per il fatto stesso che la mia immaginazione ne visualizza la dinamica…». All’uomo di fede interessa soprattutto spiegare l’esistenza del male, il perché e come una persona possa abbandonarsi al peccato, e d’altra parte perché e come ci sia un disegno divino che il compiersi di questo peccato permette: «Non di rado all’individuo più rispettabile è bastato affrettare il passo, o attardarsi un minuto, perché gli fosse risparmiata un’azione ignobile. Lo aspettava al varco chi avrebbe potuto fare di lui un essere spregevole, ma l’incontro non ha avuto luogo. Vedete dunque com’è sottile il filo a cui è appesa l’onestà di tante persone…Ricorreremo allora, per spiegare l’integrità degli uni e l’ignominia degli altri, alla grazia di Dio – al suo intervento o alla sua mancanza?»

Sulle orme di Dostoevskij, per lo scrittore francese non è tanto il male in sé a suscitare scandalo, quanto la sua casualità, il suo concretarsi o meno a seconda delle occasioni, delle situazioni. E altrettanto indegno è il fatto che al peccato attivo, cui il colpevole aderisce in prima persona, corrisponda il peccato laterale, fiancheggiatore: di chi osserva e non interviene, di chi collabora tacendo, di chi biasima per sentito dire. Jouhandeau ha parole di fuoco per il pubblico dei delitti, per le giurie popolari, per certa cronaca nera («Erinni, la cui sete di vendetta e di castigo sembra insaziabile») e per tutti coloro che in genere usano violentare le anime altrui, rendendosi responsabili del delitto più grave, quello contro lo spirito.

 

© Riproduzione riservata      www.sololibri.net/Tre-delitti-rituali-Marcel.html     2 dicembre 2015