KÁROLY KERENYI, NEL LABIRINTO – BOLLATI BORINGHIERI, TORINO 2016

Di uno dei maggiori antropologi, filosofi, storici delle religioni antiche del Novecento, l’ungherese Károly Kerényi (1897-1973), Bollati Boringhieri pubblica un importante volume che raccoglie sei studi, introdotti da un’erudita prefazione di Corrado Bologna.
L’immagine enigmatica e affascinante del labirinto ha attraversato un po’ tutte le culture mondiali, dalle epoche primitive a quelle moderne, sia negli aspetti religiosi e rituali, sia in quelli artistici e psicologici. Nel labirinto, quindi, ritroviamo specchiati i nostri incubi e i percorsi interiori, discese agli inferi e ascensioni verso la luce e la libertà; metafora stessa dell’esistenza – dei suoi inganni, traviamenti, recuperi, approdi – il labirinto può indicare, nella sua complessità, sia un processo mitologico-iniziatico, sia un percorso dialettico-filosofico, sia una strategia politica, o una rappresentazione simbolico-iconografica.

Il primo e più importante studio presentato in questo volume fu scritto nel 1941, gli altri sono contributi e interventi occasionali, tesi ad arricchire le idee-base di quel lavoro inaugurale. E di tali idee-base la più essenziale e fondante risiede nell’intuizione che il viaggio labirintico sia una ricerca, un progetto di attraversamento, una sfida nell’immersione del buio verso una via d’uscita, un affondamento nella morte per riemergere alla vita.
Il labirinto, di cui troviamo traccia già in epoca primitiva e in tutti i continenti, più che costituire un problema dal punto di vista scientifico, si presenta in realtà come un mistero: non solo reperibile a Cnosso, quindi, con Minosse-Teseo-Arianna, ma anche in Mesopotamia, Nord Europa, Africa, India, Italia, Nuova Zelanda… Non indica solamente una discesa nel mondo degli inferi, ma può rispecchiare la raffigurazione anatomica delle viscere umane e del grembo materno, la descrizione della planimetria di un edificio, la traccia di danze rituali, o un’esperienza di giochi infantili. Si tratta di un simbolo antichissimo, che è stato recuperato persino dalla cristianità e che possiamo scoprire nella pavimentazione di molte chiese e cattedrali, probabilmente utilizzato come percorso penitenziale.

Se la sua configurazione principale è quella della spirale (e il volume ce ne offre un’ampia galleria fotografica), lo troviamo disegnato anche in forme più geometriche e ondeggianti, in meandri che sempre suggeriscono l’idea di una linea senza fine. Come uscirne, come ritrovare il varco verso la libertà? O volando, come fece Dedalo, primo costruttore del mitico labirinto di Cnosso, o seguendo un filo, sull’esempio di Teseo (non sarà un caso, quindi che le antiche danzatrici greche accompagnassero i loro passi tenendo tra le mani una fune).
In ogni modo, secondo Károly Kerényi caverne e labirinti indicano sempre qualcosa di mortale e mortifero, un imprigionamento, un’oscurità e una condanna: mentre la danza e il volo simboleggiano la vita, la leggerezza, l’apertura verso la verità.

 

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www.sololibri.net/Nel-labirinto-Karoly-Kerenyi.html      13 ottobre 2016