FRANCA MANCINELLI, MALA KRUNA – MANNI, LECCE 2007

Mala kruna significa “piccola corona di spine”, ed è un titolo che ben esprime il dolore sottile e penetrante che pervade ogni pagina del primo volume di poesie della poetessa marchigiana Franca Mancinelli (1981), edito da Manni nel 2007. Sia i due versi danteschi che fungono da esergo, sia la composizione iniziale, con il suo mare tormentoso, il vento, l’isola, la madre nera vaticinante e «un cattivo tempo che non faceva / partire le barche», introducono al sentimento di rassegnata e consapevole tristezza che costituisce la nota dominante, il basso continuo del libro. I versi «essenziali, incisivi, affilati» ribadiscono con ostinata asciuttezza il senso di perdita e di abbandono che l’autrice patisce sulla propria pelle dall’infanzia: «anni che perdono parole / dalle mie dita aperte», «come dondola il mondo e le cose / di nuovo tremano, anch’io / sarò nel buio», bambina segnata forse da una separazione o da una lontananza, o semplicemente da quel di più di sensibilità che le permetterà, diventata adulta, di trovare una sua ricomposta consolazione proprio nella poesia. La ferita patita nei primi, decisivi, anni di formazione rimarrà comunque a lungo nel rapporto con la natura, con gli amori, con se stessa. Il paesaggio marino viene fissato negativamente («sale solidificato», «gusci morti», «schianto sullo scoglio»). Il sentimento amoroso vive in una sostanziale estraneità e incomunicabilità dei corpi («vieni negli anni muti, mani premute / sulle labbra, il corpo perso», «quale piaga insieme siamo / distanti // solo arsa saliva pesto petto», «insieme / staremmo come due cucchiai riposti / asciutti nel cassetto», «in una piazza ci sfioriamo / le lingue come gambi senza fiore»). Ma è soprattutto la visione di un sé mai riappacificato che rivela la cicatrice lasciata dalla «mala kruna», resa con indubbia icasticità e pregnanza da questi versi, impietosi, ripiegati sul proprio patire: «sono seduta in briciole», «chiudo le arterie e torno / monca alla vita», «mentre mi scucio e frano»», «sono / creta sul letto di un fiume di passi». Recentemente, versi inediti di Franca Mancinelli, tratti dalla raccolta «Pasta madre», sono stati pubblicati nell’antologia Einaudi Nuovi Poeti Italiani, 6. La più giovane delle poetesse qui proposte, riconferma la sua voce consapevolmente sicura e decisa, un’originalità di timbro poetico che ne fa certamente un nome di rilevanza nazionale nel panorama della nuova poesia. In questa sua ultima prova editoriale, i versi si impongono al lettore asciutti e concreti, e sempre animati da uno sguardo inclemente sul mondo e chi lo abita: esseri umani, animali, vegetazione (e pensieri, e sentimenti). Rami e foglie, frutti e semi, alghe e fieno, uccelli e bisce, insetti e gatti diventano sangue e pelle umani, si trasformano in una metamorfosi continua che cerca redenzione e salvezza in qualcosa d’altro, in uno scambio perpetuo e ciclico di vita: «lasci la pelle sul lenzuolo / come una biscia al cambio di stagione», «Dovrai seppellirti / tornare calda radice», «bocca che passa calore / all’aria come potesse svegliarsi / essere ancora salvata», «ti corrompi come cibo», «sugli occhi rinserrati le formiche / al posto delle ciglia». Una poesia impastata di fisicità, calda di una matrice assolutamente femminile e materna, ma anche in grado di tagliare con secca precisione qualsiasi cordone ombelicale. Difficile, infatti, trovarle degli antecedenti, dei richiami a collaudate tradizioni novecentesche. Non ci sono concessioni facili a rime o assonanze, nessun gioco di prestigio linguistico, calembours, pastiches, sperimentalismi vacui. Ogni verso sembra calato nell’obbediente fedeltà a un pensiero, quasi con etica severità. Così anche quando viene rispettata rigorosamente la metrica (due settenari e un endecasillabo), il lettore non si trova remunerato da alcuna musicale consolazione formale, perché il significato, il messaggio suggerito sovrasta con la sua asseverativa durezza la delicatezza del segno: «qualcosa in noi respira / soltanto nel trasloco: / gioia per ogni terra cancellata». Un’autrice, Franca Mancinelli, che è ormai più che una promessa, e di cui è bello riportare qui, a conclusione di questo limitato ritratto critico, la splendida poesia iniziale della raccolta, perfettamente calibrata nello stile e nel contenuto: «Cucchiaio nel sonno, il corpo raccoglie la notte. Si alzano sciami sepolti nel petto, stendono ali. Quanti animali migrano in noi passandoci il cuore, sostando nella piega dell’anca, tra i rami delle costole; quanti vorrebbero non essere noi, non restare impigliati tra i nostri contorni di umani».

 

«Fermenti» n. 239, gennaio 2013