DARIA MENICANTI, POESIE PER UN PASSANTE – MONDADORI, MILANO 1978

«Le poesie delle donne sono spesso piatte, ingenue, realistiche e ossessive», dice un verso della Maraini: è vero. E’ vero che molte femministe scrivono rabbia contrabbandandola per poesia, è vero che molte poetesse ufficiali (di quelle garantite dalle grosse case editrici) scrivono al maschile, scorporandosi, eteree e asessuate, noiose. Ma ci sono poesie di donne che non nascondono la loro concretezza corporea, che non si vergognano della loro espressa fisicità: se tracciassimo una mappa della letteratura femminile, vedremmo però che sono ancora in netta minoranza. Il libro di Daria Menicanti è un prodotto riuscito di questa minoranza. Formalmente si tratta di una struttura poetica classica, non particolarmente inventiva sul piano del linguaggio ma nemmeno mai scontata; di una tradizionale dignità che evita gli scarti, i giochetti di parole, le astuzie grafiche. Entro questa classicità, i temi e gli oggetti poetici sorprendono e aggrediscono con la loro totale evidenza, apertura, comprensibilità: eppure nemmeno questi sono nuovi (morte-vita, amore-odio, corpo-anima, giovinezza-vecchiaia). Ma è raro sentirli raccontare così senza alcuna paura di retorica: diventano nuovi per il lettore perché evidentemente sono stati vissuti e scritti con la tensione e la sofferenza che li fa nuovi. La Menicanti scrive del suo corpo che invecchia, degli uomini che possiede e che ha posseduto. Invidia le coppiette degli alberghi a ore, prende in giro gli ex-amanti e i corteggiatori, scrive le incertezze e le voglie di essere «meno vili / più accesi». Ma racconta anche le banalità delle canzonette, dei bar, delle storie quotidiane, gli incontri e gli scontri, e dietro appunto città vere, uomini e donne vere, rimpianti veri. Quindi una poesia che non è diretta solo a indagare e ad approfondire un discorso interiore, ma è rivolta anche ai “passanti”. Una lettura piacevole, disintossicante, tra i tanti accademismi e tante difficoltà.

Epigramma per me:

Dopo il bagno unica voluttà / giro svestita per casa. Fa caldo / coi termo che scottano e niente / mi dondola niente mi tremola in corpo. / Gli ossi affiorano scogli puntuti / a marea bassa. / Così in pelle sola / tiepida ed essenziale, puoi parlare / per me di nudità?

 

«Quotidiano dei Lavoratori», 26 luglio 1978