ALESSANDRO NIERO, VERSIONI DI ME MEDESIMO – TRANSEUROPA, MASSA 2014

Il libro di Alessandro Niero (commentato da una partecipe postfazione di Andrea Afribo) rivela già dal titolo, Versioni di me medesimo, una disposizione ironica al gioco letterario, al camuffamento, non solo stilistico. Un’autobiografia in versi che conosce diversi registri formali, dal sonetto al monologo alla parodia, e che si esplicita nel corso di tutte le pagine, ma soprattutto nella prima sezione, in cui un alter ego del poeta (Il signor Czarny) gli presta voce e sembianze, in un ritratto sarcastico e impietoso. «Il signor Czarny ha ritenuto a lungo / di essere infinito, illimitato. / L’errore era gradito e terapeutico». Questo piccolo borghese disilluso, che pare uscito da uno dei racconti di Cechov, viene crocefisso ai suoi tic e alle sue nevrosi con implacabile e beffarda durezza, nelle inconcludenti e vanesie relazioni con le donne, nell’invidia verso i colleghi, nel suo «insistentemente» scrivere, «percepirsi sfrangiato», ingozzarsi di ansiolitici e osservare malinconicamente il tempo che scorre, scoprendosi costretto «dentro un ritmo esterno», non suo, perché «non ce la fa a essere sincrono / con quanto gira intorno». Un disadattamento al mondo, espresso nei riguardi della galassia accademica, dei rapporti familiari, della frenesia consumistica: Niero riesce a prendersi in giro, sbeffeggiando la sua stessa scrittura, che risente sì di influenze letterarie dei nostri maggiori poeti (da Giudici a De Angelis, addirittura con qualche gozzanismo e montalismo), ma scardinate e riutilizzate a proprio uso e consumo. Così l’osservazione di ciò che lo circonda (città e stazioni, supermercati e figure femminili – «faccette acconce oltremisura») rivela sempre uno sguardo privo di clemenza, severo quasi a sfiorare la satira, e nello stesso tempo include anche se stesso in una più universale pietà verso tutto ciò che vive e respira: ma, temendo l’abbandono e la retorica dei buoni sentimenti, nell’ultimo verso corregge con una sferzata di scherno, di rigore critico, qualsiasi tentazione di intenerimento. Contro «la geometria mondriana dei colori ammodo» si scaglia, novello savonarola, a rivendicare la lucidità di una coscienza poetica che sappia controllarsi anche negli affetti più intimi. Per cui persino la sezione dedicata al padre mantiene una sua nota di spietatezza, come scrive Afribo («Padre, trabocca in me la copia dei tuoi mali // … Se ti condanno, condanno me stesso», «Padre, ti schiaccia una fatica inarrivabile, / nemmeno sai qual è: / partorirmi più grande / di te»). E ben ne è consapevole l’autore stesso: «sempre / che il mio impancarmi a giudice non sia / pettegolezzo o fiele. O argilla. / O tracotanza da pagare. O bugia», che trova però inattesi barlumi di tenerezza nelle poesie dedicate alla figlia Beatrice: «Ed eccoti aspettata a lungo, / ora mio termine e mio cominciamento», «eco di mia eco», «riassunto dettagliato / di ogni mio dolore e gioia».

Il volume si conclude con una interessante campionatura di versioni da poeti slavi, essendo Alessandro Niero professore di letteratura russa all’Università di Bologna, e traduttore premiato con riconoscimenti nazionali e internazionali.

 

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www.sololibri.net/Versioni-di-me-medesimo-Niero.html          28 settembre 2017