AMÉLIE NOTHOMB, UCCIDERE IL PADRE – VOLAND,  ROMA 2012

Una delle autrici più lette al mondo, Amélie Nothomb: e più premiate, più amate dal pubblico femminile, più produttive ed attente alle richieste del mercato librario. In questo che è il suo ventesimo (20!) romanzo sembra dare il meglio di sé, quanto a banalità di scrittura, superficialità di contenuto, mediocrità di invenzione narrativa. Orecchiando qualche tesi di psicanalisi spicciola, da rivista in lettura nei negozi di parrucchiere, imbastisce una trama facile facile, su un Edipo facile facile e nemmeno troppo motivato. E tenta vanamente di irrobustirla con sentenze pseudofilosofiche, addirittura risibili nella loro grossolanità. Gli ingredienti ci sono un po’ tutti: magia, tradimento, famiglie disturbate, droga, sesso, soldi, ma raccontati con una sciatteria e una mancanza di gusto francamente irritanti. Le descrizioni dei personaggi e dei paesaggi ricalcano la retorica più abusata: «La collera di Norman esaltava la sua gioia: dimostrava che si era comportato da uomo. Ne sentiva la consapevolezza in tutto il corpo. Un’esultanza virile gli circolava nel sangue…; scoppiò a ridere, una risata di una freschezza inimmaginabile; Una luna piena circondata da una nuvola della dimensione di un kleenex diffondeva una luce da direttore della fotografia di enorme talento; Andò a prendere la frustrazione accumulata nei muscoli dell’amante e tramutò quel piombo in oro…; La notte era al suo culmine. Ogni persona che incrociavano era uno spettacolo; La violenza di quella menade strappò all’assemblea borborigmi di godimento; Una sinuosità si impossessò del suo corpo flessibile e non lo abbandonò più».

I dialoghi sono rabberciati e fittizi («-Sei un bugiardo. Non ti credo.- -Lo giuro su quello che ho di più sacro.- – E cos’hai di sacro, tu?- – Te!-») e insomma tutto il libro sembra costruito per prendere in giro il lettore e la letteratura. C’è da chiedersi se è questa la ragione del suo successo.

 

«Leggere Donna» n.156, luglio 2012