SILVIO RAFFO, AL FANTASTICO ABISSO – NOMOS, BUSTO ARSIZIO 2011

Il secondo volume dell’elegante collana che le edizioni Nomos dedicano alla poesia contemporanea propone ai lettori i versi classici e raffinati di Silvio Raffo, stimato e versatile autore, traduttore e critico. Secondo la prefatrice, Marisa Ferrario Denna, «l’uso colto e sapiente della rima, la sonorità calda e precisa dell’endecasillabo e dei settenari» evidenziano una dotta e cosciente abilità di alternare con uno stile tradizionalmente erudito e alto «testi di grazia quasi infantile a testi più marcatamente filosofici». I motivi fondamentali della raccolta sono già tratteggiati nei titoli assegnati alle tre sezioni: La magica angustia, Fiaba dell’intertempo, Al fantastico abisso. Senz’altro, infatti, il tono favoloso e sospeso di alcune composizioni riesce a rendere la particolare levità di un mondo innocente e perduto (lasciando che nel secondo capitolo irrompa la magia della fiaba con i suoi attori più consumati: il principe, il drago, la fanciulla, il bosco, il castello, lo specchio, «i luminosi paggi»), ma sono soprattutto due i temi che si stagliano prepotentemente dalle pagine di questo libro: appunto l’angustia, l’abisso della solitudine e il corteggiamento assiduo e per nulla tragico della morte.

«Il destino che abbiamo condiviso / con i grandi poeti è di durare / nella coscienza della solitudine», «Da poche ore eravamo / al grigio paese arrivati, / la mia solitudine ed io», «Svanire io voglio / come la rugiada / … goccia di fiume che lento discende / al fantastico abisso che l’attende», «Son solo e come sempre sorridente / Non aspetto nessuno – al mio passato, / all’amore e alla morte indifferente», «Ce ne andremo da veri signori / senza strepiti o clamori»

Un’accettazione tranquilla e saggiamente conscia della propria finitudine, dunque, e un accordo placido e rasserenante con il fluire magico e sacro della natura («Avvolgimi di te, nulla infinito», «Ieri, un millennio fa, sostava il Tempo / a una fermata d’autobus con me», «Nel tuo grembo m’immergo / notte – o notte»), insieme alla consapevolezza fiera della propria e vivida unicità di persona e di poeta, in un dialogo inesausto con un “tu” che è sì ricerca dell’altro, ma anche una ribadita sottolineatura della propria irriducibile grandezza: «Sono la fiamma errante / che divaga del sogno alla deriva», «Tu guardalo con l’occhio della lince / il tuo dolore, guglia d’alabastro- / … ma con lo stesso sguardo ammira il volo / della tua gioia, alata Durlindana». Ecco: la gioia, l’inscalfibile pietra preziosa che ogni poeta, interprete di una scintilla di assoluto, porta in sé, e che in Silvio Raffo è orgogliosamente declamata : «V’è una sorta di ebbrezza / nel più acuto dolore-», «Era il mio personale paradiso. / E dovevo tenerlo chiuso in me, / senza svelare del mio rango il segno?», «Quella gioia suprema / d’essere sempre te stesso».
Queste poesie così parche di punteggiatura, quasi a voler esibire un’aperta continuità di pensiero e di collegamento al tutto, a cui un po’ nuocciono, anche graficamente (ed è forse l’unico appunto da rilevare a questa squisita raccolta) la definizione pleonastica e rapsodica di date e luoghi di composizione nell’ultima parte del libro, hanno sempre una loro leggiadra compiutezza, una loro generosa offerta di gratuita verità, che talvolta le apparenta al tono lieve di Sandro Penna, come in questi riuscitissimi versi: «Dei treni in partenza in arrivo / del tutto ignaro, sostavo / nell’atrio, semplicemente / solo, con il mio niente / Ma a un tratto all’edicola antico / un libro prezioso scoprivo / da tanto invano cercato / Lieto poi, col mio dono / al cuore in subbuglio serrato / la soglia fumosa varcavo».

 

«incroci on line», 21 marzo 2013