FRANCESCA RIGOTTI, FILOSOFA E DOCENTE UNIVERSITARIA

Filosofa, saggista e docente universitaria, Francesca Rigotti ha insegnato a Göttingen e Zurigo e dal 1996 insegna all’Università della Svizzera italiana a Lugano. La sua ricerca è caratterizzata dalla decifrazione e dall’interpretazione delle procedure metaforiche e simboliche sedimentate nel pensiero filosofico, nel ragionamento politico, nella pratica culturale e nell’esperienza quotidiana. Ha ricevuto nel 2016 lo Standing Woman Award.

I suoi libri sono tradotti in tredici lingue. Tra le sue pubblicazioni più recenti, andando all’indietro: “Una donna per amico” (con Anna Longo, Napoli-Salerno, 2016), “Manifesto del cibo liscio” (Novara, 2015); “Onestà” (Milano, 2014); “Senza figli” (con Duccio Demetrio, Milano, 2012); “Partorire con il corpo e con la mente. Creatività, filosofia, maternità” (Torino, 2010), “Gola. La passione dell’ingordigia” (Bologna, 2008); “Il pensiero delle cose” (Milano, 2007; Premio Capalbio); “Il pensiero pendolare” (Bologna, 2006); “La filosofia delle piccole cose” (Roma, 2004) e “Il filo del pensiero” (Bologna, 2002, Premio di Filosofia Viaggio a Siracusa). Il suo ultimo libro è “De senectute” (Einaudi, 2018).

  • L’ambiente familiare e culturale in cui è nata e cresciuta come ha contribuito alla sua formazione intellettuale?

Sono cresciuta in una famiglia meridionale trapiantata a Milano, di alto rigore morale ma di scarsi impulsi intellettuali. In casa mia c’erano forse tre libri. Però grazie a mia sorella maggiore scoprii ben presto il piacere della lettura (le regalarono l’Enciclopedia dei Ragazzi Mondadori alla quale potevo attingere, che miniera!); in qualche modo individuai anche l’esistenza della biblioteca di quartiere, nello stesso edificio della scuola, e allora lì fu una immersione totale. E poi, altra benedizione, il liceo classico.

  • Quali sono stati gli autori classici e contemporanei che più hanno inciso nella configurazione del suo profilo filosofico?

Tra coloro che ho potuto frequentare di persona, citerei senz’altro Mario Dal Pra, mio docente all’Università, Salvatore Veca, Remo Bodei. Tra gli autori contemporanei, sicuramente e sopra ogni altro Hans Blumenberg e tutti i suoi straordinari studi di metaforologia e di storia culturale; ma anche Jacques Derrida e Martin Heidegger, e il modo che avevano entrambi di estrarre saggezza dalle parole. Tra i classici, Kant, sia il Kant morale sia il Kant gnoseologico.

  • In che modo il femminismo ha influenzato le sue scelte esistenziali, lavorative e intellettuali?

Sono diventata femminista a tre anni, quando è nato il mio fratellino minore, nel constatare che della sua nascita tutti gioivano mentre della mia (seconda femmina…) tutti – raccontava la saga familiare – si erano rammaricati. Poi a lui venne regalata l’automobilina rossa a pedali che io avevo sempre sognato. Per fortuna è comunque diventato una bravissima persona. Ho pagato alcune scelte femministe piuttosto duramente, allorché per esempio si pensava che avrei dovuto scegliere una professione da donna che mi permettesse di assistere e coadiuvare la carriera dell’uomo, cosa alla quale mi opposi con tutte le mie forze.

  • Le è stato difficile conciliare la sua vita familiare con il suo impegno di studiosa?

Tenendo presente che i figli sono venuti in quattro (maschio, femmina più due gemelli maschi nel giro di cinque anni) non è stata proprio una passeggiata, in più in un paese straniero. Però il compito è stato equamente ripartito con il loro padre e mio compagno (straniero) e questo ha semplificato ogni cosa.

  • A quale tra i suoi libri si sente più legata emotivamente, e quale l’ha più gratificata dal punto di vista del successo editoriale?

Il libro che amo di più è “Il filo del pensiero. Tessere, scrivere, pensare”, che uscì con Il Mulino di Bologna nel 2002. È incondizionatamente il mio preferito, anche se non ha avuto il successo editoriale de “La filosofia in cucina”, ristampato varie volte e tradotto in moltissime lingue, l’ultima il portoghese per l’edizione brasiliana, pochi mesi fa. Un testo che parla dell’uso, nel linguaggio filosofico, delle metafore derivate dalla preparazione del cibo, del tipo impastare i pensieri, per intenderci.

  • Nel suo ruolo di docente universitaria, trova che i giovani con cui si confronta quotidianamente siano più o meno motivati nei riguardi del sapere di quanto lo fosse la sua generazione? E cosa teme o spera per il loro futuro?

Noi avevamo soltanto la lettura, anche come svago, mentre i ragazzi di oggi hanno molti più stimoli e possibilità. Spero che li usino bene. Quando vedo a lezione i loro occhi interessati (non di tutti, diciamocelo, tanti li puntano soltanto sullo smartphone) penso che ce la faranno, nonostante il fatto che le de-formazioni (chiamate impropriamente ri-forme) introdotte nella scuola – non solo italiana, io insegno in Svizzera e abito in Germania – facciano di tutto per soffocarne gli slanci.

 

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https://www.sololibri.net/Sei-domande-a-Francesca-Rigotti.html       23 febbraio 2018