GILBERTO SQUIZZATO, UN DIO CHE NON È “DIO” – GABRIELLI, VERONA 2014

Introdotto dalle empatiche prefazioni di Christian Raimo e Andrea Ponso (due tra i nostri più impegnati intellettuali quarantenni, credenti “non allineati” e critici nei riguardi di alcune derive del cattolicesimo contemporaneo), il volume di Gilberto Squizzato Un Dio che non è “Dio” è uscito nel 2014 per le edizioni veronesi Gabrielli, che qualche settimana fa hanno pubblicato un nuovo lavoro dello stesso autore, ancora di tema religioso: Se il cielo adesso è vuoto.

La ricerca teologica e spirituale di Squizzato (giornalista-sceneggiatore-regista laico) si distanzia da ogni saccente accademismo, per definirsi invece come appassionante percorso (mosso da interrogazioni, dubbi e incertezze) finalizzato a una conquista personale della fede, in coerenza con il proprio vissuto, e nella concretezza della quotidianità. Suffragata dalle testimonianze degli scrittori più amati (Turoldo, Bonhöffer, Dostoevskij) l’analisi di Squizzato si concentra sulle domande fondamentali poste da chiunque non voglia rifugiarsi in un credo acquiescente, devozionale e immaturo. Con coraggio rifiuta molti dogmi della dottrina ecclesiale, e ancora più temerariamente affronta le perplessità in cui ci dibattiamo tutti. Perché il dolore degli innocenti, quindi; perché il male e il suo impunito dominio; perché la preghiera inascoltata e inesaudita; perché l’insanabile contraddizione tra religione e scienza. Ammettendo senza ipocrisia di rifiutare l’idea di un Dio che permetta e giustifichi la sofferenza umana (“preferisco essere ateo che affidarmi a un Dio che vuole sangue innocente per convertire e salvare i malvagi”), l’autore confessa di sentire inadeguato anche il concetto di creazione divina, ritenuto troppo semplicistico e falsificante rispetto alle conquiste della biologia e dell’astrofisica.

Se tali teorie sono ormai tranquillamente ammesse e condivise da parte della teologia più evoluta, forse è un altro l’apporto originale che Squizzato fornisce alla speculazione attuale sul cristianesimo. Sulle orme di Bonhöffer esalta la dignità del soggetto umano, che non deve vivere in uno stato di subalternità e dipendenza infantile al cospetto di una divinità invasiva e oppressiva (“non sotto Dio, ma di fronte a Dio, con Dio”), né crearsi immagini mistificatorie del divino, ma deve invece liberarsi di tutte le idee sul sacro che hanno illuso l’umanità dai suoi albori. Per questo la sua indagine si concentra sull’errore commesso per secoli di attribuire alla divinità caratteri antropomorfi, come se Dio fosse stato creato a immagine dell’uomo, e non viceversa. Si tratta allora di emancipare sia il linguaggio sia l’arte da scorie ideologiche calcificatesi nel tempo.

La radice indeuropea del termine “Dio” rimanda infatti alla luce, a un evento luminoso in sé indicibile-ineffabile-indefinibile, non corporeo e non materiale, che poi l’istituzione ecclesiastica ha tentato di rendere comprensibile ricorrendo a una terminologia antropomorfico-metaforica, sebbene nell’Esodo Jahvè stesso rifiutasse di definirsi con un nome. Squizzato, sulla scia dei mistici (Eckhart, San Giovanni della Croce, Silesius) e dei nostri contemporanee Panikkar, Lombardi Vallauri, Vannini, suggerisce di arrivare alla comprensione del divino attraverso la via apofatica, la teologia negativa, la meditazione sul silenzio, sul tempo e sul vuoto. La stessa emendazione dovrebbe essere compiuta riguardo alle figurazioni di un Dio troppo fisicamente umano tramandateci dall’arte rinascimentale, che hanno condizionato l’immaginario dei credenti in modo illusorio e puerile. La proposta dell’autore (che rilegge criticamente anche molti episodi biblici, il peccato originale, la Trinità, l’incarnazione e la resurrezione) è dunque semplice e insieme rivoluzionaria. Chi si definisce cristiano dovrebbe attenersi alle parole di Gv. 1, 18 («Dio nessuno l’ha mai visto; ma il figlio unigenito di Dio, che è nel seno del Padre, è Lui che ce l’ha fatto conoscere»), affidandosi all’insegnamento evangelico di Gesù, senza mediazioni interpretative fuorvianti. Cristo figlio di Dio è Luce perché «in lui appare riconoscibile il mistero divino», reso operante e vitale attraverso le sue opere, negli atti d’amore in grado di scardinare le prigioni del dolore e del peccato. Come Gesù, anche chi crede in lui è in grado di esistere nella luce, operando per il bene.

Una tesi fuori dagli schemi dogmatici, quella di Gilberto Squizzato, che potrebbe scandalizzare tradizionalisti e ortodossi, ma offre un approdo salvifico a chi si relazioni con il messaggio cristiano senza paludamenti, gerarchie e ormeggi convenzionali.

 

© Riproduzione riservata                   «Il Pickwick», 27 febbraio 2018