MIRIAM TOEWS, I MIEI PICCOLI DISPIACERI – MARCOS Y MARCOS, MILANO 2015

Marcos y Marcos propone ai lettori un quarto romanzo di Miriam Toews, autrice canadese di fama internazionale, nata nel 1964 da una famiglia mennonita di lontane origini ucraine. Di lei la critica ha sempre lodato l’abilità particolare nel raccontare vicende tragiche, in genere circoscritte al microcosmo della famiglia, senza scadere nella retorica o nel gusto del patetico, punteggiando invece la narrazione (scorrevole e colloquiale, fatta di frasi brevi e dialoghi vivaci, con frequenti e puntuali citazioni letterarie) di episodi leggeri, ironici, o francamente comici. Quasi a voler stemperare pudicamente il dolore, imbavagliandolo, quando si fa troppo forte o pericolosamente declamato.
Anche in questo romanzo i riferimenti autobiografici sono espliciti: la residenza stessa dell’autrice nella città di Winnipeg, il claustrofobico clima di fanatismo religioso della comunità mennonita (sempre ottusamente incline alla riprovazione, alla condanna, all’esclusione di chi avverte come potenzialmente diverso, e quindi minaccioso), la dolorosa catena di suicidi parentali, l’originalità controcorrente e le aspirazioni artistiche del nucleo familiare. Protagonista in prima persona è Yolandi, sorella minore e complessata della talentuosa, sensibilissima, geniale Elfrieda. Il rapporto che lega le due è strettissimo, simbiotico. La maggiore è una pianista di successo, «un’assoluta professionista della mondanità. Tutto in lei era di un’intensità incredibile. Così nitido e frizzante». Ma questo eccesso di intelligenza ed emotività l’ha resa fin da piccola un corpo estraneo nel mondo, vulnerabile, incapace di rassegnarsi alla mediocrità. Yoli invece si sa, o si crede, mediocre, e cresce all’ombra della sorella, con ammirata dedizione. Il romanzo si apre su una prima vicenda traumatica della famiglia, costretta a un trasloco non voluto, all’interno di una comunità religiosa fanatica e ottusa: padre, madre, figlie mal si adattano al conformismo dell’ambiente, cementandosi nel loro rapporto di assediati incompresi. Elfrida studia musica e legge poesie, e per lasciare un segno di sé incide su muri e alberi un acronimo tratto da un verso di Coleridge: «IMPD, i miei piccoli dispiaceri». Yolandi cresce goffa e alternativa, con un’inquietudine che la porterà da adulta a contorte scelte sentimentali, a una perpetua instabilità economica, e a inseguire una realizzazione come scrittrice sempre frustrata dai risultati.
Dopo poche pagine, il lettore viene catapultato in una realtà drammatica: il padre, un idealista sconfitto dalla rudezza dell’esistenza, si è ucciso sotto un treno; la madre, positivamente ottimista ma incapace di reagire alla disgrazia, si ammala di cuore; Yolanda si immola all’assistenza adorante della sorella, chiusa nella sua disperata scelta di rinunciare non solo a una luminosa carriera di pianista, ma alla vita stessa.

«La sofferenza, anche se risalente a un passato lontano, è una cosa che si trasmette di generazione in generazione, come l’agilità o la dislessia». I tentativi di suicidio di Elfrida si susseguono implacabili, come i suoi ricoveri, nonostante l’amore e la comprensione di chi la circonda, e della sorella in primo luogo. A niente valgono le carezze, i ricatti emotivi, le minacce, le recriminazioni, le dichiarazioni d’amore di Yolandi, perché «il problema è la vita e la sua invivibilità». Eppure, nonostante il dolore che dilaga, tra le righe aleggia un senso invincibile di leggerezza, di solidarietà e comprensione affettiva che fortifica i rapporti di amicizia e parentela; si impone come un dovere la possibilità di continuare a sorridere, aggrappandosi ai ricordi belli, ai rari gesti di qualche generoso sconosciuto, a preziosi momenti di inaspettata rivelazione della bellezza: «Lo sai che la gente è più felice quando smette di cercare di esserlo?»
Il lungo racconto di Miriam Toews termina con l’apertura alla continuità della vita, e alla necessità della speranza: «Dài, alziamoci, facciamo la doccia e andiamo». Un plauso alla traduttrice Maurizia Balmelli, che ha saputo rendere in un italiano fluido ed elegante la prosa della scrittrice canadese.

 

«succedeoggi», 22 aprile 2015