DEREK WALCOTT, MAPPA DEL NUOVO MONDO – ADELPHI, MILANO 2012

Derek Walcott, scrittore caraibico nato nell’isola di Saint Lucia nel 1930, Premio Nobel nel 1992, è stato definito dal suo più importante critico, Josif Brodskij, un “realista metafisico”. Ma anche un “naturalista, espressionista, surrealista, imagista, ermetico, confessionale”, come a dire tante cose in una, tante vite in una, tanti linguaggi in uno.
Nato “nell’incandescenza di un crogiolo di razze e culture”, Derek Walcott è un nero svezzato in un dialetto delle Indie Occidentali, professore a Harvard, scrittore in un elegante e limpido inglese. In una sua poesia così si definisce: “Io sono solamente un negro rosso che ama il mare, ho avuto una buona istruzione coloniale, / ho in me dell’olandese, del negro e dell’inglese, / sono nessuno, o sono una nazione”.

Nella sua opera si compenetrano visionarietà fantastica, meditazioni metafisiche, considerazioni sociali e, soprattutto, descrizioni della natura: il mare, l’Oceano, costituiscono il fondale onnipresente – negli odori, nei colori e nei profumi – di tutte le sue raccolte poetiche. Pittore di paesaggi descritti attraverso azzardate metafore: “Sabbia che vola, esile come fumo, / Annoiata, sposta le sue dune», «La pianta d’arancio, in varia luce, / Proclama perfezionate favole ora / Che il culmine estivo della sua ultima stagione / Si piega da ogni ramo sovraccarico”, in ogni composizione di questo volume, Mappa del nuovo mondo, avvertiamo quanto la sua sensibilità poetica patisca il fascino dirompente degli elementi naturali, in tutta la loro esibita potenza: vento, pioggia, nuvole, sole e luna si concretizzano tangibilmente, animandosi in modo magico e misterioso.

“Qualcosa di rimosso rimbomba nelle orecchie a questa casa, / Fa pendere le tende senza vento, tramortisce gli specchi / Finché i riflessi perdono sostanza”, “O stella, doppiamente compassionevole, venuta / troppo presto per il crepuscolo, troppo tardi / per l’alba, possa la tua pallida fiamma / dirigere il peggio in noi / attraverso il caos / con la passione del / semplice giorno”. Il mare, soprattutto, assume una personificazione a volte minacciosa a volte maternamente tranquillizzante (“L’amen di calme acque”, “le onde represse fanno il giro dei loro stazzi / come pecore matte”, “Il mio primo amico fu il mare. Ora, è il mio ultimo”), e nello splendido poemetto semi-autobiografico La goletta Flight recupera temi ed echi narrativi conradiani, raccontando di una turbinosa traversata oceanica in cui il protagonista combatte con i suoi peggiori incubi e istinti, minacciato dall’equipaggio ignorante e ostile, e consolato dal ricordo della famiglia e del colpevole amore per una sensuale Maria Concepción.

Ma la poesia di Derek Walcott non è solo descrittiva: è anche consapevole riflessione sulla sua inevitabile schizofrenia linguistica tra il dialetto creolo materno e la lingua inglese dei colonizzatori, tra la solidarietà per la sua gente nera che non lo riconosce più e l’ambizione di appartenere a una ufficialità culturale che lo subisce con malcelata sopportazione. “Dove mi volgerò diviso fin dentro nelle vene? / Io che ho maledetto / L’ufficiale ubriaco del governo britannico come sceglierò / Tra quest’Africa e la lingua inglese che amo? / Tradirle entrambe o restituire ciò che danno?”, “Ora non avevo altra nazione che l’immaginazione. / Dopo l’uomo bianco, i negri non mi vollero / quando il potere girò dalla loro parte. / Il primo mi incatena le mani e si scusa: ‘La storia’; gli altri non mi giudicavano nero abbastanza per il loro orgoglio”. Tuttavia il poeta sa qual è il suo compito: vivere con pienezza di meraviglia, cantare i suoi versi, testimoniare: “io sono soddisfatto / se la mia mano ha dato voce al dolore di un popolo”.

 

© Riproduzione riservata        www.sololibri.net/Mappa-nuovo-mondo-Walcott.html      6 ottobre 2016