SIMONE WEIL, LETTERA A UN RELIGIOSO – ADELPHI, MILANO 1996

«Quando leggo il catechismo del Concilio di Trento, mi sembra di non aver nulla in comune con la religione che vi è esposta. Quando leggo il Nuovo Testamento, i mistici, la liturgia, o vedo celebrare la messa, sento con una specie di certezza che questa fede è la mia…». Così si apre la celebre Lettera a un religioso che Simone Weil scrisse al padre domenicano Couturier nel 1941, e che oggi Adelphi ripropone nella sua Piccola biblioteca. Il desiderio di adesione al cattolicesimo fu nella Weil intensissimo sin dall’infanzia («Da anni penso a queste cose con tutta l’intensità di amore e attenzione di cui sono capace»), nutrito di una nostalgia più sentimentale che razionale per i sacramenti, in particolare per l’eucarestia. Eppure, con il rigore adamantino che la contraddistinse, si negò sempre il battesimo, sapendo di non riuscire a condividere in toto dogmi e insegnamenti ecclesiali.
Nella sua lettera elenca quindi «un certo numero di pensieri» che abitano in lei da anni e che sono di ostacolo al suo dichiararsi cattolica, e chiede al suo corrispondente una «risposta chiara, certa, categorica» sulla compatibilità di ciascuna delle sue opinioni con l’appartenenza alla Chiesa.
Avrà, dai padri spirituali che man mano avvicinerà negli anni, risposte monche e inadeguate alle attese, forse anche imbarazzate di fronte a una divorante ansia di spiritualità ma anche all’incapacità di mediare tra assoluto e relativo, tra libertà di pensiero e obbedienza ai dettami conciliari.
Ciò che la Weil rimprovera al cattolicesimo è soprattutto la sua concezione della storia, l’asserita superiorità dell’ebraismo e del cristianesimo sui popoli pagani riguardo alla conoscenza di Dio, l’unicità dell’incarnazione del Verbo nel Cristo. Le tesi da lei espresse sono trentacinque, e rivelano una profonda conoscenza delle religioni antiche e orientali, insieme con un dominio sicuro dei testi sacri, unito però alla volontà di non soprassedere su alcuni aspetti formali della ritualità sacra.
E’ un cristianesimo viscerale e settoriale, quello di Simone Weil: predilige il S.Paolo della Lettera ai Filippesi, il Canto del Servo di Isaia, il racconto della Passione: «Se il Vangelo omettesse ogni menzione della resurrezione di Cristo, la fede mi sarebbe più facile. La Croce da sola mi basta».

Un Vangelo della sofferenza, quindi, quello da lei amato, e non del trionfo. Un po’ come i santi senza Dio di cui scriveva Camus, Simone Weil si ostina a proporsi come cristiana fuori dalla Chiesa, quasi che proprio il suo rifiuto del battesimo sia la vera testimonianza della sua fede. Divorata dall’intelligenza e dallo spirito critico, così come aveva rifiutato il suo ebraismo, le sue origini borghesi, un lavoro puramente intellettuale, e come finirà per rifiutarsi ogni affettività e fisicità (fino a morire di inedia a 34 anni), respinge ogni blando accomodamento, ogni passiva sudditanza a indicazioni imposte dall’alto, inascoltata profeta di un secolo XX spesso profano anche nella religiosità.

 

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14 novembre 2011