HEINRICH WÖLFFLIN, CAPIRE L’OPERA D’ARTE – CASTELVECCHI, ROMA 2015

Uno dei più importanti storici dell’arte, lo svizzero Heinrich Wölfflin, pubblicò negli anni ’20 un breve testo, rielaborato poi nel 1940 (e oggi riproposto dall’editore romano Castelvecchi con l’introduzione di Andrea Pinotti), che si apre con questa domanda: «Devono davvero essere spiegate le opere d’arte?» Non basta forse accontentarsi di goderne la visione, di vivere le emozioni che esse ci suscitano dentro, senza comprendere fino in fondo perché ci sembrino belle, perché vengano universalmente considerate capolavori? Secondo Wölfflin, bisogna imparare a guardare un quadro in base a un graduale apprendimento, con la stessa applicazione con cui si imparano le lingue straniere, studiandone la grammatica, le frasi idiomatiche, la pronuncia.
Nessuna opera d’arte, infatti, è immediatamente e spontaneamente comprensibile da qualsivoglia spettatore, ma deve essere letta situandola «nel processo evolutivo, rintracciandone antecedenti e conseguenti, poi rifacendosi ai contemporanei e agli affini; e tracciando, in tal modo, intorno ad essa, un cerchio che, passando attraverso la scuola e l’origine, potrà estendersi fino al cerchio più grande, quello del carattere dell’intero popolo nel quale è radicata».

Pertanto essa va inserita in un diagramma che ne stabilisca le coordinate diacroniche (predecessori e successori, storia dei vari stili) e sincroniche (in relazione con la generazione, il popolo, l’ambiente, la scuola dell’artista che l’ha prodotta). Ovviamente, il capolavoro è sempre firmato da una grande personalità, da un genio, ma dietro a esso è intessuta la storia di un’intera epoca, di un nazione, di una cultura che trascende e insieme determina l’artista eccelso: «Non tutto è possibile in tutti i tempi», ammonisce Wölfflin: «Sono proprio le personalità più forti quelle che mostrano, nel modo più evidente, come la storia dell’arte sia legata a leggi che vanno oltre la personalità».

Sembrano considerazioni scontate, al giorno d’oggi, ma quello che rende originali e addirittura provocatorie queste poche pagine è l’affermazione della irreversibilità dell’evoluzione artistica, secondo un processo deterministico modellato sulle scienze naturali, e scandito sempre in tre stadi (primitivo-maturo-tardo, oppure arcaico-classico-barocco), che si ripresenta in diverse fasi storiche, in un processo organico che «possiede un suo proprio sviluppo e una sua propria struttura». Ciò avviene secondo una progressione graduale, conformemente a leggi necessarie, che in genere passano da «forme di rappresentazione psicologicamente più semplici a quelle più complesse». «L’evolvere dell’arte non dovrebbe essere paragonato al crescere di un albero singolo, ma piuttosto a quello di un bosco…»

 

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28 novembre 2015