AAVV, IL VENETO CHE AMIAMO – EDIZIONI DELL’ASINO, ROMA 2020 (ebook)

Quattro grandissimi della letteratura italiana del ’900, quattro autori che hanno reso il Veneto migliore, sono i protagonisti di questo originale e interessante ebook pubblicato dalle Edizioni dell’Asino: Andrea Zanzotto, Mario Rigoni Stern, Luigi Meneghello, Fernando Bandini. Intervistati, coinvolti in una serie di riflessioni, pungolati da Goffredo Fofi, Gianfranco Bettin, Marco Paolini, Nicola De Cilia, Leonardo Ruffin, raccontano se stessi e il territorio in cui sono nati e vissuti, e che ha nutrito la loro scrittura. Parlano di ciò che il Veneto è stato, nella storia e nella cultura, e di quello che rappresenta oggi per l’economia, l’arte, la politica, l’ambiente del nostro paese.

Nella prefazione, Fofi, amico in particolare di Zanzotto e Bandini, tratteggia un ritratto del Nordest in bilico tra l’affettuosa ammirazione e un fastidio insofferente: “Il Veneto che ha dato così tanto alla storia e alla cultura dell’Italia e che ha saputo resistere e sa ancora resistere al generale degrado, morale e culturale prima ancora che politico” è la stessa regione che con la Lombardia ha contribuito a diffondere comportamenti di scandaloso malaffare, corruzione, inquinamento. Il docile paese conosciuto da Fofi negli anni ’50-60 era ancora fatto di contadini e proletari che emigravano, di famiglie cattoliche numerose, di soldati e servette che animavano la narrativa e il cinema neorealista, di dialetti cantilenanti che riflettevano la dolcezza del paesaggio. In seguito, le rivolte dei movimenti studenteschi padovani e degli operai di Marghera, la crescente industrializzazione e cementificazione edilizia hanno contribuito a modificare l’immaginario collettivo e gli stereotipi più radicati. Oggi il Veneto si è imbruttito e involgarito, nella corsa allo sviluppo e alla ricchezza individuale che ha trasformato i lineamenti del territorio e il carattere degli abitanti. Troviamo tracce di questo accanimento feroce e autodistruttivo nei romanzi di Carlotto e di Bettin, nelle inchieste di Rumiz.

Andrea Zanzotto (1921-2011) parlando nel giorno del suo 87esimo compleanno, lamenta che la sua Pieve di Soligo sia stata deturpata da un’aggressiva pianificazione urbanistica. “Oggi abbiamo un paesaggio in cui sembra prevalere la fabbrichetta velenosa, la puzzolente discarica, l’orribile intasamento del traffico per strade sempre più insufficienti e pericolose”. La poesia rimane come baluardo, “forma di salute e di resistenza biologica”, che proprio nel salvare un’immagine sana dell’habitat, compie un’operazione ecologica di mantenimento della bellezza. Perché “la poesia dice quello che deve dire sempre da una specie di esilio dentro la realtà…”. Zanzotto racconta degli anni del dopoguerra, della sua emigrazione in Svizzera, dell’insegnamento e dei primi amori giovanili: da poeta, ne tratta con toni affabulatori, sorridenti e nostalgici. Rispetto a un mondo guasto e frenetico, conclude, “meglio stare qui, anca picadi a un spin, ma comunque qui”.

I ricordi privati diventano memoria collettiva e civile nelle testimonianze di tutti gli intervistati.

Mario Rigoni Stern (1921-2008), asciutto cronista e memorialista della seconda guerra mondiale e della campagna di Russia, profondo conoscitore dell’altopiano di Asiago nelle sue tradizioni e in ogni anfratto territoriale, constata come preambolo al suo discorso che quando la neve si scioglie a 2500 metri di altezza è unta. Unta, sporca, come l’aria appestata dal carburante degli aerei e le montagne invase dai rifiuti degli alpinisti della domenica: uomini e donne che per cercare un paesaggio vergine, in realtà contribuiscono a inquinarlo. Rigoni Stern parla di tutto, della televisione che condiziona i pensieri, dell’editoria interessata solo al mercato, degli scrittori giovani esibizionisti e di quelli maturi permalosi ed egocentrici. Concludendo pessimisticamente: “È difficile liberarsi del mondo che avanza. Mi sono detto, salviamo almeno quello che è stato abbandonato. Lo diceva Rilke: andremo a cercare ai margini delle strade quello che abbiamo buttato via”.

Anche Luigi Meneghello (1922-2007), indimenticato autore di Libera nos a Malo, prende spunto dalla propria biografia per meditare sulla storia passata e recente della regione in cui è nato. Partendo dagli anni fascisti della sua infanzia da “balilla”, rievoca gli studi universitari, la guerra combattuta come alpino, la partecipazione attiva alla Resistenza, il matrimonio con la moglie ebrea ungherese scampata ai lager, la passione per le motociclette, e infine l’emigrazione in Inghilterra, con l’impegno accademico a Reading durato tutta la vita lavorativa. Quindi i suoi romanzi, vivacizzati dal “trasporto” in italiano di molti termini dialettali, e il recupero ironico di una koinè linguistica che definiva anche un modo di stare al mondo, con solidale indulgenza: “Volta la carta… la ze finia”.

Ultimo ma non ultimo, Fernando Bandini (1931-2013), raffinato poeta in italiano e latino, si sofferma sulla necessità di un impegno fattivo nella politica locale: “Sono totalmente immerso in Vicenza, in un rapporto di odio-amore, cerco di interpretare il mio tempo partendo da questo piccolo spazio”. E ribadisce il dovere che abbiamo di dialogare con i morti, come memoria familiare e storica: “L’interesse per il passato aiuta a riannodare fatti e personaggi, a farti presente che sono esistite una storia nazionale, una storia culturale e sociale estremamente ricche di cui adesso si è voluto dimenticare tutto, sia la sinistra che i cosiddetti ‘laici’ che i cattolici”.

Non solamente laudatores temporis acti, quindi, questi “grandi vecchi” della letteratura italiana, ma anche esempio di uno spessore morale e intellettuale di assoluta rilevanza, propositivo e fiducioso nell’aprire alla speranza di un cambiamento, che a partire dalla campagna, dai monti, dalle cittadine in cui sono nati e vissuti, possa investire tutto il Veneto, e l’intera nazione.

 

© Riproduzione riservata            «Gli Stati Generali», 19 giugno 2020