Versus: Airaghi-Celeste | L’Altrove

Il nostro viaggio attraverso la poesia femminile italiana inizia oggi con due poetesse: Alida Airaghi e Clery Celeste. Ecco l’intervista doppia:

Domanda tanto facile quanto difficile: Che cos’è per voi la poesia?

Airaghi: Da Platone in poi sono state proposte moltissime definizioni della poesia. Una, molto rigorosa, che mi ha particolarmente colpito è quella di Kant: “La poesia è l’arte di dare a un libero gioco dell’immaginazione il carattere di un compito dell’intelletto”. Più pacatamente Bachelard affermava che la poesia ha una funzione di risveglio, e ha il compito di trasformarci. Concordo con entrambi.

Celeste: Per me la poesia è qualcosa di sacro e come tutte le cose sacre non le puoi possedere, non le contieni, ma ti attraversano. Poesia quindi non è un qualcosa di fisso e statico ma è dinamica, arriva e non sai mai quando o per quanto tempo potrà andarsene via da te.

E come definireste la vostra?

Airaghi: Il mio scrivere in versi si è ovviamente modificato in più di quarant’anni di esercizio, che io amo chiamare artigianale piuttosto che artistico. Quando ero giovane intendevo la scrittura poetica come scavo interiore, ricerca emozionale, o addirittura testimonianza civile e denuncia politica. Oggi, più ammorbidita dall’età, e più consapevole della limitatezza dei miei strumenti espressivi, ma anche malinconicamente certa che la poesia non ha grandi margini di presa sul pubblico, e non è utilizzabile pragmaticamente, penso di dover ubbidire soprattutto al richiamo di un lavoro assiduo sulla parola, che dovrebbe riuscire a coniugare insieme pensiero, immagine e musicalità. Una carezza a ciò che esiste, e che è sempre più importante e più alto della nostra persona individuale. “Trasformare le proprie agonie private e personali in qualcosa di ricco e strano, di impersonale e universale” raccomandava Eliot.

Celeste: Quando scrivo cerco e spero che i miei testi possano essere comuni anche agli altri, che anche solo una parola possa appartenere ad altre persone. Cerco di creare una poesia che sia non prettamente personale e individuale ma in cui altre persone con diverse esperienze di vita possano riconoscersi e sentirsi meno sole, parte di qualcosa. Credo comunque che la letteratura in generale serva e debba tendere a questo: ritrovarci simili, meno soli.

Quale eredità vi ha lasciato la poesia femminile italiana?

Airaghi: Ho letto e leggo molta poesia italiana, e credo ci siano state grandi voci di poete nel nostro ’900: Bemporad, Guidacci, Rosselli, Romagnoli, Pozzi. Tra le viventi Anedda, Gualtieri, Calandrone suscitano in me interesse e partecipazione, così come mi entusiasmano le voci maschili di importanti maestri: Montale, Luzi, Caproni, Giudici, Pasolini.

Celeste: Sinceramente ho sempre letto di tutto, senza soffermarmi sulla identità dell’autore, che fosse uomo o donna poco mi importava perché credo che la poesia possa affrontare qualsiasi tema a prescindere dalla sessualità dell’autore. Certo, ci sono molte autrici donne che stimo, che rileggo e che apprezzo per la loro forza poetica e la loro indipendenza di stile.

Ed esiste una poesia prettamente femminile in Italia?

Airaghi: Spesso anche solo leggendo poche righe si riesce a riconoscere il sesso di chi le ha scritte. Ma mi sembra falsante creare categorie distintive tra i poeti. Non so dire perciò se esista una corrente di “poesia femminile”, che avverto come classificazione ghettizzante. Senz’altro esiste ed è esistita una poesia femminista, di rivendicazione e di lotta.

Celeste: Non credo che esista una poesia di genere in Italia, sarebbe secondo me anche anacronistico dividere la poesia in maschile e femminile. L’arte se è arte vera deve essere capace di affrontare anche temi che appartengono a sfere femminili o maschili, il poeta se è tale deve riuscire ad andare in profondità a qualsiasi argomento. La poesia in tal senso quindi deve essere, a mio avviso, universale. Più che poesia femminile si può secondo me ora trovare delle linee comuni tra generazioni simili, non tanto come stile ma come tematiche. Trovo ci sia molta più individualità ora, ognuno cerca di avere una sua voce, un suo ritmo preciso.

Si dice sempre che la poesia salverà il mondo. Ma da cosa?

Airaghi: Dostoevskij scriveva che sarà la bellezza a salvare il mondo, e credo avesse ragione se per bellezza vogliamo intendere non solo tutta l’arte (figurativa, musicale e letteraria), ma anche lo splendore naturale che ci circonda. Penso però che il mondo possa e debba essere salvato dalle brutture e dalla cattiveria non tanto e solo dall’arte, ma da tutti gli uomini e donne di buona volontà. Non sempre i poeti sono corretti, nobili e disinteressati: perché mai dovrebbero essere migliori dei medici, dei contadini, degli operai, delle cuoche?

Celeste: Non so se la poesia salverà il mondo, di sicuro però può salvare singole persone. La poesia mi ha salvato diverse volte, è l’unico luogo in cui ci si può permettere di essere veri e sinceri oltre il dolore e la ferita, forse a volte arriva prima il verso della comprensione razionale di quel che si vive. Dal testo quindi la conoscenza. Dove l’onestà e la coerenza determinano direi la buona riuscita di un testo. Se un autore mente, scrive cose che non ha provato, direttamente o indirettamente, scrive senza una urgenza e una necessità profonda, il testo secondo me potrebbe risentirne, risultando meno vero. I lettori sentono quando c’è coerenza e verità nei testi. L’arte in generale ha prima di tutto una funziona catartica per chi la fa, poi per chi la riceve. Non salverà il mondo, ma salva molti.

Quale poeta non può mancare nella vostra lettura?

Airaghi: Leggo e rileggo Rilke e Eliot.

Celeste: Tirare fuori i nomi: la domanda più difficile, si rischia sempre di dimenticare qualcuno. Vi scrivo quindi qualche nome di autori che leggo e rileggo volentieri senza un ordine preciso. Stefano Simoncelli, poeta e persona che stimo, Mario Benedetti, Gian Mario Villalta che ammiravo già moltissimo e poi ho conosciuto di persona pubblicando il mio primo libro, Milo De Angelis, Cristina Campo, gli autori della tradizione dialettale romagnola come Baldini, alcuni testi di Guerra e Annalisa Teodorani, la Szymborska ovviamente, Cortazar, Magrelli, Francesca Serragnoli ma ce ne sarebbero tanti altri.

Quali sono, invece, gli scrittori che vi hanno segnato?

Airaghi: Come citarli tutti? I classici russi, gli esistenzialisti, Thomas Mann, Garcia Marquez, Marguerite Yourcenar, Isaac Singer, Joseph Roth, Yasunari Kawabata, Virginia Woolf, i grandi filosofi… Amo leggere in generale tutto quello che mi ridesta dentro non solo un sussulto emotivo, ma anche un forte invito alla riflessione, all’approfondimento di temi o pensieri trascurati.

Celeste: Cito nuovamente Milo De Angelis, Magrelli e Benedetti: sono i primi contemporanei che ho letto quando avevo 15 anni e mi stavo avvicinando alla poesia. Mi colpì moltissimo la struttura del verso, i temi affrontati, la musicalità, la cura delle parole. Sicuramente mi hanno segnato i testi di Francesco Tomada per questa sua semplicità del dire anche le cose più dolorose, questa naturalezza che non è incuria ma deriva da un lavoro profondo di sé e dei versi. Nino Iacovella, Christian Tito e Alessandro Silva per un tipo di poesia sociale e civile insieme. Cortazar, già citato, per la sua espressione dei sentimenti potenti, come amore, rabbia e abbandono. Ce ne sarebbero tanti altri, questi i primi a cui ho pensato.

Abbiamo fatto leggere ad Alida Airaghi una poesia di Clery Celeste tratta da “La traccia delle vene” (LietoColle, 2014)

Tutto si riconduce a un cercarsi
di complementari gruppi sanguinei
tra foreste di vetro e provette
siamo uno scambio di liquidi
il nostro baciarsi è solo il gusto
di un semplice trasferirsi di fluidi
e tutto il resto non si sa da dove passi
se dal mio cuore
arriva poi al tuo
o si perde per strada, tra questo traffico
che ci opprime l’asfalto nelle ore di uscita
dalle fabbriche il cemento
e tutte le altre sostanze radioattive
come farfalle le vedo volare.

Ecco il suo commento:

Della poesia di Clery Celeste ho apprezzato la contrapposizione tra il mondo dei sentimenti e delle esperienze private e l’ambiente urbano, inquinatore di anime e corpi, che fa da sfondo all’incontro tra due amanti. La mortificazione dell’atto sessuale in una negatività riduttiva (“siamo uno scambio di liquidi”), amplificata dall’osservazione della realtà soffocante (cemento, asfalto, fabbriche, sostanze radioattive) cerca poeticamente uno spiraglio di luce e positività nell’immagine finale delle farfalle in volo.

Una mia poesia che potrebbe fare da corollario a quella sul bacio di Clery è questa:

Baciarti sulle labbra la parola
che a fatica pronunci, a fatica:
quasi avessi promesso di non dire.
Aspirarla con il fiato appena,
mescolarla al mio respiro, e confonderla.
Che non abbia paura, ascoltandosi,
di restarsene lì, irrimediabile, sola.

(da “Il silenzio e le voci”, Nomos 2012).

A Clery Celeste abbiamo fatto leggere una poesia di Alida Airaghi tratta da “Omaggi” (Einaudi, 2017)

Con il cielo coperto, l’erba ormai alta
(la panchina azzoppata,
e cartacce e lattine). Ero sola
in un’ora di quasi pomeriggio
a tentare nel vuoto un pensiero di bene.
L’amore era lontano o era in ogni cosa?

Il commento di Clery:

Un testo questo della Airaghi che mi ha lasciata col fiato sospeso fino all’ultimo verso, verso risolutivo e allo stesso tempo aperto. Una domanda che mi attraversa spesso nella quotidianità, soprattutto nel mio lavoro in ospedale quando ho a che fare con i pazienti. Una poesia che parte dalla dimensione naturale e “infinita” come il cielo e l’erba alta per arrivare a un’altra dimensione infinita ma che porta in basso come una voragine, quel vuoto dove si tenta un pensiero di bene. La caduta ce la suggerisce già al secondo verso, la panchina infatti è azzoppata. Sta già nelle cose l’incrinatura esistenziale. Il testo però è aperto, si chiude con una domanda da cui possiamo rientrare ogni volta. Era lontano o in ogni cosa?

 

© Riproduzione riservata                      «L’Altrove. Appunti di poesia», 28 maggio 2019