LORE BERGER, LA COLLINA MISERICORDIOSA – LINDAU, TORINO 2015

Lore Berger si uccise nell’agosto del 1943, a 22 anni, gettandosi dalla torre idrica del Bruderholz, sulla collina sovrastante Basilea. Il mese prima aveva mandato il suo manoscritto La collina misericordiosa alla giuria del premio letterario Gutenberg di Zurigo: al breve romanzo, considerato troppo pessimista e corrosivo, venne assegnato solo il quinto posto, mentre gli furono preferite opere più banali ma edificanti. Lore Berger, figlia di un professore di ginnasio basilese, esprimeva in queste pagine il disagio morale della gioventù elvetica più sensibile e colta nei confronti di una cultura e di una morale (quella della Svizzera borghese e neutrale degli anni ’40), ritenuta meschina e superficiale, e di un’educazione familiare «non cattiva ma striminzita». Il romanzo ricalca e in alcuni casi preannuncia con fedele spietatezza la biografia dell’autrice: Esther, la protagonista ventenne della narrazione, soffre infatti di una malattia che la riduce a rifiutare il cibo e qualsiasi collaborazione con i metodi di cura, e che lei stessa definisce come mal d’amore e taedium vitae. Esther è l’alter ego di Lore, che le presta emozioni e pensieri, amori, amicizie e ribellioni, ma sdoppiandosi, riflettendosi anche in un altro personaggio del libro, la raffinata ed estetizzante Bea che, malata di tubercolosi renale, pone termine alla sua vita proprio come qualche mese dopo farà l’autrice del racconto. La collina misericordiosa non ha una vera e propria trama: può essere considerato un diario o una lunga lettera arricchita da numerosi inserti testuali: flash-back, poesie, aforismi, appunti di cronaca. Una specie di arazzo, insomma, in cui un’anima sofferente, dalla sensibilità acuta e contorta, guarda in modo sarcastico e amaro al mondo delle persone “normali”, “sane”, smascherandone l’ipocrisia e la vuotezza. Un mondo, si legge,«fatto di gente operosa e felice, bambini che giocano e coppiette di sposini o paffute signorine del vicinato che per la maggior parte diventano puericultrici, e la loro religione, la loro filosofia e la loro morale non sembrano mostrare più buchi di quanti non ne mostrino le loro calze e i loro denti».

Il rappresentante più emblematico di tale mondo, osservato con rabbia e consapevolezza della propria superiorità, ma anche con rimpianto e nostalgia, è il giovane Thomas Rheinardt, odontotecnico rozzo e belloccio di cui la nobile e intellettuale Esther si innamora, attratta dalla sua esuberante adesione alla vita fisica, ai valori dei benpensanti – che lei rifiuta e subisce nello stesso tempo -. Thomas per brevissimo tempo illude Esther, per poi subito dimenticarla, tradirla, condannarla alla disperazione: «Così terribile non me l’ero immaginato. Non avevo pensato che nei rapporti tra uomo e donna ci potesse essere tanto dolore. In realtà non eravamo fatti per quella felicità che rende sopportabile l’esistenza, no, nessuno di noi due».

Ma Thomas non è che un elemento, un personaggio tra i tanti che convinceranno Esther/Lore a preferire la morte alla vita. Altrettanto assurdi e indifferenti risultano il mondo della amicizie universitarie, le feste mondane, i circoli letterari o le redazioni dei giornali che la giovane frequenta illudendosi di scoprirvi l’autenticità dell’esistenza. Solo nella natura e in un dio che forse in essa si nasconde, la protagonista potrebbe trovare la pace cui aspira: nella misericordia della collina, della betulla che accarezza i vetri della finestra, dei pazienti occhi canini del suo cucciolo Nicevo. E a questa misericordia si consegna, dopo aver lottato sia con la vita sia con il desiderio di morire: «Ho paura di entrambe, della vita come della morte… per nessuna delle due sono abbastanza forte, né per l’agitazione né per il silenzio».

 

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www.sololibri.net/La-collina-misericordiosa-Lore.html      16 agosto 2015