ALBERTO BERTONI, IL LETTO VUOTO – ARAGNO, TORINO 2012

C’è un’ambivalenza che percorre tutte la pagine di questo volume di versi di Alberto Bertoni, un continuo oscillare tra aspetti opposti del reale: dall’ambiente domestico più conosciuto, e protettivo, e affettuosamente intenerito (la Modena natale, i campi, il gioco delle bocce, i “poveri gatti tristi”) ai viaggi all’estero (New York, Scozia…); dalla gente umile, di scarse ambizioni ma di solide verità che animava la sua infanzia (le robuste pulizie delle sorelle Barbolini, gli amici del nonno), alle conferenze universitarie e alla frequentazione di signore raffinate, fino agli omaggi riservati ai protagonisti culturali contemporanei (Delfini, Giudici, Bevilacqua, Guccini).

Le poesie hanno cadenze serenamente e malinconicamente narrative, più propense alla descrizione nostalgica che allo scandaglio introspettivo o alla meditazione: inframmezzate da prose tese a illustrare con uno stile piano e discreto memorie personali (il gioco del calcio o la passione per i cavalli), incubi o località che hanno lasciato un segno nell’animo del poeta, e non sembrano servire da contrappunto razionale ai versi, ma semmai valgono a prolungarne l’aura poetica. Che vibra maggiormente – senza tuttavia raggiungere l’incandescenza emotiva che il Bertoni eccellente critico letterario auspica in chi scriva poesia – quando l’autore si commuove sugli affetti più cari, come sulla demenza senile dei genitori e sulla loro morte (“Nel supremo trapasso / avrà riso mia madre del fatto / che non sono stato al suo fianco”) o quando traccia di se stesso un’immagine rassegnata e delusa (“Forse sono io quell’uomo / rannicchiato in un’auto uguale / che scruta il mio stesso giornale / di programmi e risultati / senza un ricordo di cui essere geloso / lo scatto di trotto sbilenco // questo cuore a riposo”; “Solo adesso / misuro il mio tempo / adesso che mi pens o/ mentre sto fermo…”).

IBS, 24 dicembre 2012