MASSIMO BONTEMPELLI, GENTE NEL TEMPO – UTOPIA, MILANO 2020 – p.192

La giovanissima casa editrice milanese Utopia ha inaugurato il suo catalogo riproponendo uno dei più famosi libri di Massimo Bontempelli, Gente nel tempo. Scelta perspicace e raffinata, perché il romanzo, pubblicato nel 1937, è stato più volte riedito con ottime tirature (fino all’inclusione nell’opera omnia dell’autore, uscita da Mondadori nel 1961, nel 1978 e nel 1997), provocando curiosità e polemiche per l’atmosfera di funerea iattura di cui era impregnato.

Aleggia infatti sull’intera vicenda una minacciosa profezia, pronunciata dalla Gran Vecchia, autorevole e intransigente matriarca della famiglia Medici, che prima di spegnersi in un’afosa notte estiva del 1900 aveva predetto all’inetto figlio Silvano, alla nuora Vittoria, al medico di casa, al notaio e al parroco del paese di Colonna, la morte in giovane età di tutti i componenti del casato.

Il macabro presagio negli anni si era rivelato sempre più attendibile. I due sposi avevano reagito ad esso in maniera differente: Silvano con maggiore turbamento, Vittoria con il desiderio di infrangere ingessati tabù, e di aprirsi alla vita. Le loro figlie, Dirce e Nora, rispecchiavano il diverso carattere dei genitori: la prima più introversa, la seconda più esuberante. A distanza di cinque anni dalla morte della nonna, videro morire il padre, e dopo un altro lustro assistettero anche alla scomparsa della madre.

Trasferitesi a Milano, le sorelle trascorsero gli anni della guerra impegnandosi come ausiliarie negli ospedali militari, mentre lo spettro della maledizione che incombeva sulla famiglia continuava a tormentarle. Infatti, la fatidica scadenza dei cinque anni tornò a pretendere il suo obolo sacrificale, portandosi via uno zio nel 1915, e nel 1920 il bambino di Nora. “Qualche cosa c’era, qualche cosa di oltreumano, di astrale”, in quelle fatali ricorrenze.

Il ritorno nel paese natale, dove la lugubre fama che le circondava si era ormai diffusa radicandosi nelle coscienze e nei comportamenti degli abitanti, non le aiutò a superare paure e superstizioni, rendendo sempre più precaria la loro salute fisica e mentale, nell’attesa ansiosa del compiersi del funesto presagio. “Non importa morire, importa non sapere quando… La vita è essere incerti, la vita è non sapere, non sapere né quando né dove uno va… La vita è andarsene”, riflette uno dei protagonisti nell’ultima pagina del volume.

Forse è il caso di ricordare brevemente quale sia stata la parabola esistenziale e culturale dell’autore di questo singolare romanzo, sospeso tra il noir goticheggiante e un acuto psicologismo.

Massimo Bontempelli (Como,1878-Roma,1960) fu una controversa figura di romanziere, poeta,  drammaturgo, compositoregiornalista e traduttore. Laureato in filosofia e in lettere, visse in varie città, collaborando a numerose e importanti testate giornalistiche e case editrici. Convinto interventista, inviato di guerra, combatté come artigliere al fronte, ottenendo la Medaglia di bronzo al valor militare. Trasferitosi a Parigi, entrò in contatto con le avanguardie artistiche francesi, affidandosi nelle prime opere a un irrazionalismo onirico sulle tracce del movimento surrealista di Breton, e inaugurando con gli amici Alberto Savinio e Giorgio De Chirico la corrente sperimentale del “realismo magico”.

Tornato a Roma, aderì al Partito Fascista insieme a Pirandello, per la cui compagnia teatrale iniziò a scrivere opere drammatiche, sempre oscillanti tra atmosfere fiabesche e spettrali. Estremamente critico nei confronti del provincialismo letterario italiano, fondò prestigiose riviste dal respiro cosmopolita (“900”, “Quadrante”, “Città”), rivalutando l’imprevedibilità del caso e il fascinoso dominio della magia contro il determinismo massificante della società borghese, e sottolineando il ruolo fondamentale dell’inconscio nelle azioni umane, insieme alla necessità di rifarsi al mito come sorgente immaginativa di ogni forma artistica.

Su questo terreno ideologico, Bontempelli edificò nel 1937 le basi di Gente nel tempo, opera in cui l’assurdo e l’imponderabile si insinuano nei disegni del destino, creando attese e smarrimenti, incubi e leggendarie fantasticherie.

Il romanzo, “strutturato, come un thriller misterioso, in un percorso a tappe agghiacciante e diabolico, non privo di colpi di scena” (come scrive la prefatrice del volume Marinella Mascia Galateria), anticipava con assoluta originalità i nuovi percorsi narrativi e drammaturgici del secondo ’900, e rimane ancora oggi l’inquietante testimonianza di un immaginoso tentativo esoterico di sottrarsi a una realtà vissuta come opprimente e drammatica.

 

© Riproduzione riservata                        «Gli Stati Generali», 14 ottobre 2020