MATTEO BUSSOLA, SONO PURI I LORO SOGNI – EINAUDI, TORINO 2017

Matteo Bussola (Verona, 1971), architetto convertitosi alla fumettistica e alla scrittura, padre di tre bambine in età scolare, riflette in “Sono puri i loro sogni” sull’evoluzione (e sull’involuzione) dei nostri costumi nazionali nei riguardi dell’essere genitori e figli, insegnanti e alunni ed ex-alunni, cittadini più o meno responsabili della società e della convivenza civile. Lo fa in un tono garbato e lieve, con ironia priva di sarcasmo, senza nascondere dubbi, rimpianti e preoccupazioni.
Forse stiamo sbagliando qualcosa, se i rapporti all’interno delle famiglie e con le istituzioni sono diventati tanto frenetici, apprensivi, sospettosi, sempre sulla difensiva o sul piede di guerra. In particolare, c’è da chiedersi come mai siano talmente mutate le relazioni che intratteniamo con il mondo della scuola, di cui siamo o siamo stati tutti fruitori e partecipi, al punto che guardiamo ai maestri e ai professori dei nostri ragazzi con ostilità e diffidenza, ritenendoli spesso impreparati, scansafatiche, faziosi. E perché, se fino a qualche decennio fa l’insegnante veniva considerato con rispetto, oggi diviene spesso obiettivo di contestazioni, querele, motteggi e aggressioni non solo verbali, sia in sede scolastica, sia in cerchie non inerenti all’istruzione, sia online.
Matteo Bussola dedica i primi capitoli di “Sono puri i loro sogni” a stigmatizzare l’atteggiamento dei genitori (iperprotettivo, ansioso, impaurito) già da quando iscrivono i figli a scuola: nella scelta dell’istituto, degli orari, della mensa, dei trasporti, dei corsi facoltativi; ridicolizza bonariamente mamme-papà e nonni che accompagnano i pargoli fin dentro la classe, aspettandoli impazienti alla fine delle lezioni, indagando sui loro progressi nelle materie, incitandoli alla competizione, infuriandosi per ogni minimo fallimento – che ovviamente viene attribuito all’insensibilità del docente!

Ancora, indaga sul motivo che spinge i nostri giovani ad assumere comportamenti sempre più strafottenti e aggressivi, al limite del bullismo verso i compagni e gli insegnanti, in una contestazione priva di riferimenti ideologici, anzi spesso irrazionale, nevrotica, irrispettosa. Ecco: il rispetto, su cui molto insiste l’autore, pare mancare del tutto nel sodalizio che dovrebbe instaurarsi tra docenti, allievi e famiglie, in una solidale comprensione dei rispettivi diritti e doveri, delle mansioni che ciascuno è chiamato ad assolvere. Mia figlia Daria che insegna nel carcere di massima sicurezza di Opera mi assicura di aver trovato più attenzione ed educazione tra gli ergastolani che in qualsiasi altro istituto in cui ha operato. Da quali sensi di colpa sono pervasi oggi i genitori, se devono sempre ergersi in difesa dei loro figli anche qualora risultino indifendibili (maleducati, ignoranti, pigri, demotivati)? Probabilmente ci aspettiamo dall’istituzione scolastica la garanzia sul futuro delle nuove generazioni che essa non è più in grado di offrire, perché è cambiata la società, insieme al mondo del lavoro, e al valore stesso che si attribuisce all’autorità. O forse questo eccesso di paternalismo e mammismo protettivo è una caratteristica propria della nostra italianità, troppo individualista e troppo poco sensibile alle necessità degli altri: deleghiamo l’educazione dei nostri ragazzi alla scuola, perché abbiamo abdicato al nostro ruolo educativo, ma siamo prontissimi ad insorgere contro i docenti che non riteniamo all’altezza del loro compito. Temiamo l’autonomia e l’indipendenza, già quando si esprime nell’infanzia, che pretendiamo di sorvegliare e difendere persino da pericoli inesistenti.

Se posso accennare a una mia esperienza biografica, ricordo che avendo insegnato molti anni per il Ministero degli Affari Esteri in Svizzera, la mia famiglia si era dovuta adeguare alle abitudini del luogo: cosicché la nostra bambina più grande doveva attraversare Zurigo cambiando due tram per raggiungere da sola la scuola media, e la piccolina fin dalla prima settimana doveva recarsi all’asilo senza che la accompagnassimo, con l’unica protezione di un triangolo di plastica fluorescente sul petto (mentre mio marito si nascondeva dietro un’enorme quercia per seguirla almeno con lo sguardo finché la vedeva raggiungere la sua severa maestra Geissbūhler…). Altri metodi educativi, altri mondi. Ma davvero più insensibili e indifferenti del nostro? O solo correttamente responsabili? Rientrata in Italia, in un ridente paesino sul Garda, pativo la riprovazione delle altre mamme perché non accompagnavo le figlie, ormai più grandi, negli edifici scolastici vicinissimi.
Come ci ammonisce giustamente Matteo Bussola nei tanti esempi particolari che propone, non dobbiamo appropriarci delle esistenze dei nostri ragazzi, fagocitandoli nelle nostre paure e aspirazioni. “Sono puri i loro sogni”, non inquiniamoglieli già da piccoli. Non ingabbiamoli, impariamo ad essere per loro non “come mura che li tengono al riparo dalla vita, ma come porte da attraversare per raggiungerla”.

 

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www.sololibri.net/Sono-puri-i-loro-sogni-Bussola.html     15 ottobre 2017