CLAUDIA ENDRIGO, SERGIO ENDRIGO, MIO PADRE – FELTRINELLI, MILANO 2017

Dai quattordici ai diciassette anni sono stata innamorata di Sergio Endrigo. Innamorata veramente. Con mani e gambe che mi tremavano se appariva in televisione, con sue fotografie incollate sul diario di scuola e sulla scrivania, con gli articoli che lo riguardavano conservati in una scatola, e tutti i dischi collezionati, tutte le canzoni imparate a memoria. Una volta gli ho inviato un ritratto e lui mi ha ringraziato in diretta, durante una trasmissione condotta da Renzo Arbore, e io che stavo registrando con il microfono appoggiato alla radio, sono quasi svenuta sentendo le parole che lui, SERGIO ENDRIGO!, rivolgeva a me, proprio a me: “Ringrazio lo sconosciuto o la sconosciuta che mi ha mandato un ritratto fatto a mano, fatto a penna, molto bello…”. Ho ancora la cassetta da qualche parte, con il nastro usurato e cigolante per il reiteratissimo ascolto. Anni dopo ho assistito anche a un suo concerto, al Castello Sforzesco di Milano, ma senza troppa emozione, perché ero in compagnia di mio marito, e insomma non ero più così affascinata dal mito. Tuttora, però, lo riascolto con nostalgia, rivedo i filmati su Youtube, ho persino letto il suo romanzo (Cosa mi dai se mi sparo?), amaro, sarcastico, dolente, e scritto bene.

Per tutti questi motivi sono molto grata a Claudia Endrigo che ha reso omaggio a suo padre con un volume pubblicato da Feltrinelli, e introdotto da un’affettuosa prefazione di Claudio Baglioni. L’esistenza del cantante istriano è ricostruita dalla figlia con passione e malinconia, a partire dalla nascita (avvenuta a Pola il 15 giugno 1933, da una famiglia operaia con doti artistiche e musicali), e poi attraverso i tragici avvenimenti privati e storici che segnarono la sua problematica infanzia: la morte prematura del padre, il difficile rapporto mai ricomposto con il fratello maggiore, la precarietà economica vissuta con umiliazione e sacrificio, l’esodo imposto nel 1947 dopo la cessione dell’Istria alla Jugoslavia di Tito, la separazione dalla mamma adorata, il collegio per profughi a Brindisi. Quindi il doloroso abbandono degli studi, per quanto compensato da letture intense ed eclettiche, l’apprendimento entusiastico della musica, il ritorno al nord, i diversi lavori mal retribuiti, l’ostinato impegno nel migliorarsi culturalmente ed economicamente.

Claudia Endrigo elenca minuziosamente ogni tappa percorsa dal suo papà nel chimerico e implacabile mondo discografico: le prime incisioni, i contratti, le collaborazioni, incontri e amicizie (Bruno Lauzi lo definì “il nostro Brel”), successi e insuccessi, delusioni e tradimenti, tournée in giro per il mondo, partecipazioni a San Remo e in varie trasmissioni televisive e radiofoniche. Si sofferma in particolare a illustrare l’origine e la grande popolarità delle sue canzoni più note, Io che amo solo te e Canzone per te, tuttora famosissime e riproposte da numerosi e celebri interpreti, e le molte altre dedicate all’infanzia, con i testi di Rodari e di Vinicius de Moraes, o musicate su versi di poeti famosi. Ovviamente, l’autrice racconta con particolare tenerezza la vita privata di Sergio: l’incontro e il matrimonio con la moglie Lula, durato trent’anni tra burrasche e riavvicinamenti, la malattia e la morte precoce di lei; il periodo felice della villa costruita a Mentana, accanto a quelle di amici carissimi (Bardotti, Morricone, Bacalov), e della casa a Lampedusa, con le gite in barca e le immersioni subacquee. Vizi e virtù dell’uomo: i frequentissimi innamoramenti; la passione per il whisky, il vino e le carte; la timidezza e la generosità; l’abilità nel bricolage e nella cucina; l’attenzione all’ambiente e gli interessi politici; l’impaccio mai superato nel presentarsi sul palcoscenico e un’attrazione smodata per tutto ciò che proveniva dal Brasile. Infine, gli anni tristi del declino, assilli legali e finanziari, una penosa sordità che gli impediva di cantare dal vivo, l’ischemia del 2002 e l’allontanamento di amici e colleghi, fino al tumore che se lo portò via nel 2005.

Il volume Sergio Endrigo, mio padre, corredato da una ricchissima discografia, è quindi il regalo e la testimonianza della tenace e orgogliosa fedeltà filiale di Claudia, che ha molto amato il suo papà, che lo rimpiange e si rammarica ancora delle reciproche, inevitabili, incomprensioni: e che soprattutto continua a lottare e a impegnarsi perché non venga dimenticato, perché si rivaluti anche l’eccezionale produzione rimasta ingiustamente nell’ombra.

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2 novembre 2017