CHIARA FRUGONI, UOMINI E ANIMALI NEL MEDIOEVO – IL MULINO, BOLOGNA 2018

Chiara Frugoni (Pisa 1940), medievista e storica della Chiesa, ha insegnato in diverse università italiane, collaborando attivamente a quotidiani e programmi televisivi e radiofonici. Il suo metodo di ricerca tiene nella stessa considerazione sia i testi sia le immagini, nella convinzione che ogni raffigurazione pittorica apporti importanti elementi documentali all’analisi di un periodo storico. Il principale campo di ricerca della studiosa ruota intorno alla figura di Francesco d’Assisi, e ai difficili rapporti da lui intrecciati con le istituzioni ecclesiastiche. Nel 2011, Chiara Frugoni ha individuato in uno degli affreschi attribuiti a Giotto nella Basilica Superiore di Assisi un profilo di diavolo tracciato tra le nuvole, particolare mai indagato in precedenza: tale scoperta ha rimesso in discussione alcune consolidate teorie di storia dell’arte, riscuotendo interesse da parte della critica internazionale.

Il volume recentemente pubblicato da Il Mulino, Uomini e animali nel Medioevo, ribadisce il convincimento dell’autrice sulla rilevanza e il peso dell’iconografia nell’analisi storica: riccamente illustrato, riproduce affreschi e miniature, mappe e arazzi, mosaici e sculture, miranti a convalidare ogni ipotesi e interpretazione documentaria.

Tantissimo è cambiato dall’anno Mille ad oggi nel rapporto che l’umanità ha instaurato con gli animali, salvo il fatto che loro non hanno bisogno di noi quanto noi ne abbiamo di loro. E se nelle abitudini e nel lessico contemporaneo gli animali patiscono pregiudizi, incomprensioni e crudeltà manifeste, la relazione che avevano col mondo circostante nel Medioevo era senz’altro più intensa e radicata, ancorché spesso associata a ignoranza, paure, superstizioni, efferatezze, fantasticherie. Di ciò si occupa Chiara Frugoni nella sua minuziosa ricerca, nutrita di tutto l’immaginario biblico e cattolico, a partire dal Genesi, in cui Dio modella con la sabbia “tutti gli esseri viventi della terra e tutti gli uccelli del cielo”, incaricando poi Adamo di individuare un nome per ciascuno di loro. Proprio su questa funzione denominatrice e catalogatrice di Adamo, in qualche modo collegata al progetto di creazione divina, si intrattiene a lungo l’autrice del libro, commentando decine di miniature e affreschi che tra l’XI e il XV secolo rappresentano il primo uomo nell’incontro solenne e umanissimo con gli animali: immagini tratte dai bestiari e dai codici più celebri, o esposti in gallerie, cattedrali e musei.

Pur nel suo dichiarato ateismo, Chiara Frugoni dimostra grande competenza teologica e profonda conoscenza dei testi sacri, al punto da dissertare su alcuni dogmi e problemi rilevanti, dibattuti in vari Concili ed encicliche: dal doppio racconto della Creazione in Genesi I e II, alla localizzazione geografica e temporale del paradiso terrestre, alla vexata quaestio del peccato originale, talvolta esibendo qualche dubbiosa puntualizzazione, garbatamente ironica.

Nell’Antico Testamento vengono nominati non solo gli abitanti del suolo, del cielo e delle acque, domestici e selvatici, bensì anche creature leggendarie come draghi, basilischi e unicorni, messaggeri di un regno sovrannaturale, dai connotati minacciosi o dal mandato salvifico e purificatore, talora ambiguamente erotizzanti: generalmente inoffensivi proprio perché esotici e indefinibili. Altri erano gli esemplari da cui gli uomini e le donne del Medioevo dovevano difendersi, servendosi di armi spesso inadeguate: orsi, cinghiali, lupi. Dopo la cacciata dall’Eden, la supremazia umana sul regno animale non sussisteva più, e anche i più santi tra i monaci, i predicatori e i padri del deserto testimoniavano di incontri spaventosi con bestie feroci, personificazioni del demonio tentatore, contro cui capitava si imbattessero, in allucinazioni e incubi generati dalla solitudine e dagli stenti. «Che per certo sappi e credi come cosa vera quello che io ti dirò: un altro converso ce ne fu che andando una mattina presso d’uno fossato vide un drago terribile bere, e disse che gli pareva che fusse tutto pieno di specchi, per la qual cosa tornò a casa e pe lla paura morì, overo per veleno che ’l dragone gli gittasse», scriveva nel 1374 fra’ Giovanni dalle Celle di Vallombrosa a un devoto.
Se non draghi, erano tuttavia numerose le belve feroci che popolavano boschi e foreste medievali, spingendosi fin dentro ai villaggi e alle città, singolarmente o in branchi, depredando ovili stalle e pollai, azzannando o addirittura divorando esseri umani: lupi, soprattutto, ma anche orsi, cinghiali, maiali selvatici contro cui si doveva mettere in campo ogni tipo di difesa, materiale e spirituale (bastoni, lance, pugnali, catene, e poi giaculatorie, immagini sacre, esorcismi, e infine processi, torture e plateali esecuzioni pubbliche). Forse solo la persona di San Francesco seppe incarnare all’epoca un ruolo innovativo nel rapporto con il mondo animale, basato sulla pietà, la comprensione e il rispetto, in sintonia e fratellanza con tutto il creato.

Ma dove vivevano, da quali zone estreme della terra provenivano gli animali che popolavano le campagne e le città medievali, e le fantasie dei loro abitanti? Secondo Chiara Frugoni «si incaricavano di mostrarlo le mappae mundi in pergamena in grandi carte geografiche esposte nelle chiese o nei monasteri, oppure in formato ridotto nelle pagine dei codici (o perfino distese in mosaici pavimentali). Permettevano viaggi immaginari; lo spazio rappresentato era riempito da disegni fittissimi di dettagli tratti dal repertorio geografico, storico, religioso e della mitologia pagana; edifici, città, animali e piante erano accompagnati da didascalie. Belve reali e animali immaginari, feroci anch’essi, vivevano soprattutto in Asia e in Africa, luoghi lontanissimi». Due di queste enciclopedie illustrate (di Ebstorf e di Hereford) sono riprodotte e commentate puntualmente nel quarto capitolo di questo volume (coloratissime, ricche di informazioni e allegorie, ritratti curiosi e mostruosità), insieme alla descrizione del mosaico pavimentale di Otranto, «immenso tappeto di pietra brulicante di mille figure». Immagini che fanno di questo libro prezioso un poliedrico strumento di consultazione, una tavolozza di tinte, sagome e paesaggi in cui immergersi, recuperando uno sfarzoso patrimonio di tesori trascurati.

 

© Riproduzione riservata              «Il Pickwick», 7 gennaio 2019