AAVV, IL VERRI n. 60: “COMICO E POESIA” – IL VERRI EDIZIONI, MILANO 2016

L’ultimo numero della rivista Il Verri (quadrimestrale letterario fondato da Luciano Anceschi nel 1956) è dedicato al rapporto tra poesia e comico, inteso come «opposto di una declinazione seria della testualità». Una letteratura, lirica o tragica, che si prenda troppo sul serio comporta che l’autore attribuisca alla sua scrittura una qualche efficacia etica, un’autonomia estetica positiva, come ben evidenzia Gian Luca Picconi nel saggio iniziale. Ecco allora che il comico, in tutte le sue variazioni (nonsense, satira, parodia, ironia, grottesco, paradosso, contraddizione, gioco di parole, lapsus, calembour, incoerenza lessicale) arriva a scardinare non solo le pretese ideologizzanti del testo, ma anche a neutralizzare le sue tonalità affettive, mettendo in crisi l’orizzonte di attesa del lettore. Tutti e dieci gli interventi critici della rivista celebrano quindi il comico come elemento dissacratorio, straniante e rivitalizzante dell’ufficialità letteraria. Già a partire dall’ “allegrezza” esaltata dai futuristi e dal loro anticipatore Ernesto Ragazzoni (vengono citati, con divertentissimi esempi, Farfa, Gian Pietro Lucini, Luciano Folgore e lo straordinario Palazzeschi) il distacco ironico con cui viene trattata la materia letteraria produce un abbassamento dei registri formali funzionale alla polemica contro l’accademismo e la seriosità della tradizione (Carducci, Pascoli, D’Annunzio).

Se nei poeti più noti del nostro novecento si producono effetti di nonsense talvolta involontari o tesi semplicemente a discostarsi dall’uso convenzionale del linguaggio (Montale, Caproni, Ottonieri, Rosselli, Fortini, Sanguineti, Villa, Porta…), altre volte la ricerca di straniamento e provocazione è fortemente perseguita e orgogliosamente proclamata, come in Fosco Maraini, Giulia Niccolai, Toti Scialoja (quest’ultimo insuperato maestro di esilaranti distici: «T’amo o pio bue / Anzi ne amo due»; «l’albatro a cui tendesti / un piccolo caimano»). L’interessante e provocatorio saggio di Gilda Policastro si sofferma sulla ricerca attuale legata alla categoria della “non assertività”, sottolineando l’esigenza di fondarsi più sul testo che sull’esplorazione intimistica: «riconvertire o riannettere alla poesia/prosa tutto ciò che non è (o non immediatamente) letterario e respingere, al contempo, un’idea di maniera della poesia, irricevibile in quanto troppo classica, troppo mistica, troppo abusata, troppo convenzionale (e troppo poco incline a confrontarsi con le convenzioni esplicite, o piegate a strumento), troppo spirituale, troppo soggettiva, troppo lirica, troppo incentrata sull’io, troppo assertiva, e via così».

I nomi da lei proposti a una più attenta valutazione sono quelli di Andrea Inglese, Marco Giovenale, Michele Zaffarano, segnalati anche in altri interventi per il loro distanziamento dal linguaggio standard, e per la volontà di scoordinare e disseminare i significati. Diversi sono i poeti che si raccomandano all’intelligenza curiosa dei lettori: Guido Oldani, Attilio Lolini, Leopoldo Attolico, Luigi Socci, Vito Riviello, Gianni Toti, Francesco Piscitello, Federico Roncoroni, mentre due differenti maniere di fare satira sul presente sono rilevati nei più noti Gabriele Frasca e Valerio Magrelli. Giustamente si ricorda poi l’apporto poetico e critico di uno scrittore pugliese quasi dimenticato (Vittorio Bodini, «intellettuale anti-sistematico»), e altrettanto giustamente si sottolinea l’interesse da parte di numerosi critici verso la poesia comica: tra gli altri, Luciano Anceschi, Milli Graffi, Paolo Zublena, Andrea Cortellessa, Vincenzo Guarracino.

Sono forse ancora i celebratissimi Sanguineti e Giuliani a cui si deve attribuire la maggiore finalità ideologica nella dissacrazione del testo e nella contestazione delle strutture comunicative, non solo nella loro personale produzione in versi, ma forse e soprattutto nei contributi teorici. Insomma, «M’affumico d’incenso», o il «merendare squallido e corto / con una dura rapa d’orto / ascoltando tra i bussi ed i sassi / botti di schioppi e russi di tassi» ci ricordano che «Il poeta si diverte, / pazzamente, / smisuratamente. // Non lo state a insolentire, / lasciatelo divertire / poveretto, / queste piccole corbellerie / sono il suo diletto».

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www.sololibri.net/Comico-e-poesia-Verri.html               15 aprile 2016