MAYLIS de KERANGAL, LAMPEDUSA – FELTRINELLI, MILANO 2016

Maylis de Kerangal, autrice francese di successo (Tolone, 1967), dopo i molti riconoscimenti ottenuti nel 2014 con il romanzo Riparare i viventi, storia dolorosa di un trapianto cardiaco, ha pubblicato questo pamphlet, Lampedusa, scritto su commissione per un festival turistico, che in francese si presentava con tutt’altro titolo (Á ce stade de la nuit): titolo senz’altro più indovinato di quello scelto dalle edizioni Feltrinelli. Sì, perché il nome dell’isola – che subito richiama emotivamente il lettore alla tragedia degli sbarchi dei migranti – e l’immagine del mare in copertina, in realtà c’entrano poco con il contenuto del testo, tutto ruotante intorno alle fantasie notturne (letterarie, visionarie e geografiche) dell’autrice. La quale, la notte del 3 ottobre 2013, mentre da sola sorbisce una caffè in cucina, rimane colpita dalla notizia radiofonica dell’affondamento di un barcone a due chilometri dall’isola siciliana, e dalla conseguente morte di oltre trecento persone.

La sua attenzione emotiva e intellettuale, tuttavia, più che alla strage di quegli innocenti, corre subito al film di Visconti Il Gattopardo, tratto dal romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, e al suo protagonista Burt Lancaster («Corpo atletico, mascella squadrata, naso dritto, sorriso leggendario – pelle bianca, salute, ottimismo, volontà di potenza»). Da questa seduttiva immagine virile, si trasferisce poi per analogia a un altro film recitato dallo stesso attore, The swimmer, che condivide con la prima pellicola «lo stesso splendore del corpo». Di fantasia in fantasia, Kerangal, appena distratta dalla voce dello speaker che fornisce altri drammatici dettagli sul naufragio, si attarda a descrivere i propri viaggi, gli incontri, le letture, le riflessioni culturali e antropologiche, rimembranze giovanili, riservando alle ultime e scarne tre paginette finali qualche empatica considerazione sui disastri umanitari che hanno fatto di Lampedusa una martire mondiale della solidarietà umana.

E se c’è qualcosa da aggiungere sullo stile di questo volumetto, forse è la tendenza comune a molta narrativa (e, ahinoi!, poesia) contemporanea di attardarsi in sterili elencazioni o classifiche di oggetti, azioni, toponimi, personaggi letterari o cinematografici, quasi a voler colmare vuoti di interesse nel lettore, o cali di ispirazione in chi scrive. Ad esempio, quando la protagonista cerca affannosamente una sigaretta nel cassetto per placare la sua tensione, si sente in dovere di comunicarci tutto quello le capita tra le mani: «bottoni, pennarelli secchi, resti di Playmobil, campioncini di crema emolliente, bustine di zucchero raccattate al bar, un cucchiaio antico, biglie, gomme americane, un telefonino morto, Kleenex…», e così via per una paginetta. Oppure, ancora: «continente, oceano, nazione, mari, fiumi, capitali, catene montuose e vette celebri, deserti, città…». E di nuovo: «mi accovaccio, sollevo, giro, sposto, divido, riaccatasto, crolla tutto…». Infine: «Calipso, Napoleone, Capitan Nemo, Edmond Dantès, Marlon Brando, Finbarr Peary, Adele H…».

E la povera Lampedusa? Puro pretesto letterario.

 

«Lo Straniero» n.146, ottobre 2016