’OMAR KHAYYÂM, QUARTINE ‒ RIZZOLI, MILANO 2013

Il poeta persiano ’Omar Khayyâm, vissuto intorno al 1100 d.C., fu anche filosofo, astronomo, matematico; la sua produzione letteraria fu piuttosto esigua, ma di grande fascino e profondità. Era costituita in genere da composizioni con finalità didascaliche, esortanti a godere la vita in ogni sua manifestazione, e ad apprezzare la bellezza della natura e dell’arte.

L’esistenza di Khayyâm, protrattasi per quasi un secolo, rimase circondata da un alone di mistero e di leggende: gli si attribuiva un carattere polemico e irascibile, amante del vino e dei piaceri sensuali, poco disposto all’impegno sociale e politico, e invece appassionato di qualsiasi aspetto della ricerca scientifica. Si asteneva dal frequentare la corte imperiale, aborriva l’adulazione e i compromessi a cui erano costretti i poeti panegiristi, preferendo non avere alcun incarico ufficiale che limitasse la sua libertà di pensiero e di espressione. Venne accusato spesso di empietà e di scarsa adesione alle pratiche religiose, ma proprio questa sua particolare indipendenza morale e ideologica lo rendeva caro agli strati più umili e anticonformisti della popolazione (“Tu sei il mio Creatore e sei Tu ad avermi creato così / Folle amante del vino e delle canzoni // Poiché Tu mi creasti molto prima del Tempo, / Perché poi mi getti all’inferno?”).

La poesia di ’Omar Khayyâm si espresse in Quartine composte da due versi, suddivisi in quattro emistichi, di cui tre rigorosamente rimati, scritte soprattutto per essere declamate a voce alta e davanti a un pubblico, con una funzione esortativa o moraleggiante. Numerose sono le composizioni di ’Omar che affrontano il tema della morte, da cui nessuno può sfuggire: ma la fine della vita non viene sentita dal poeta come un fatto tragico o temibile, poiché appartiene al corso naturale dell’esistenza, e ne garantisce la liberazione da mali e affanni: “Che sia di duecento, trecento o mille anni la tua vita / Da questo vetusto palazzo sarai fatalmente cacciato. // Il sultano e il mendico del bazar: / Tutti e due avranno un valore solo, alla fine”. Molto frequente è anche il tema della memoria, così come l’ammonimento a non preoccuparsi troppo per il futuro, angustiando il presente con preoccupazioni vane: “O Amico, che cos’è tanta ansia del futuro / Con cui affliggi l’anima e il corpo? // Vivi felice e trascorri il tuo tempo in letizia / All’inizio non ti misero in mano le briglie del mondo!”

Poiché il senso ultimo della vita è inconoscibile, e i disegni del destino sono imperscrutabili, l’unica strada percorribile dall’uomo è il godimento di ogni attimo di felicità: “O cuore, fa’ conto d’avere tutte le cose del mondo, / Fa’ conto che tutto ti sia giardino delizioso di verde, / E tu su quell’erba fa’ conto d’esser rugiada / Gocciata colà nella notte, e al sorger dell’alba svanita”; “Con bella fanciulla in riva a un ruscello, con vino e con rose / Finché mi è concesso farò bella vita e sarò in allegria. // Fintanto che fui, sono e sarò in questo mondo / Ho bevuto, bevo e berrò sempre del vino”.

La sottile ironia spesso esercitata da Khayyâm assume le sembianze della burla giocosa contro le persone troppo rigide e tronfie, e vuole perlopiù essere un monito e un invito alla leggerezza e al sorriso; lo stile scorrevole e pacato, lontano da ogni formalismo, è esso stesso un suggerimento a evitare quanto più possibile ogni inutile difficoltà e sofferenza. Da filosofo e poeta qual era, ’Omar Khayyâm riuscì ad innalzarsi a figura di maestro, e come tale continua a essere letto, tradotto e ammirato in tutto il mondo.

 

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https://www.sololibri.net/Quartine-Khayyam.html                   2 ottobre 2018