IVAN LALIC, POESIE – JACA BOOK, MILANO 1991

Unico volume antologico proposto al pubblico italiano nell’ormai lontano 1991, questa raccolta di versi del poeta serbo Ivan Lalić (1931-1996) mantiene intatto il suo fascino discreto ed elegante di comprensione intelligente e sensibile del reale, di attento recupero della memoria collettiva, di resa poetica raffinata e senza sbavature.
Una poesia che si nutre dell’osservazione meditativa di ciò che vive intorno (quindi il paesaggio, con le sue acque, gli animali e la vegetazione), e di cui il poeta ha il dovere morale di farsi interprete presso chi non sa o non può vedere: “Dì qualche cosa, esprimi / Questo momento: la rosa già mette le foglie, / L’aria infittisce dove verrà il fiore, / La lingua sanguina alla parola spina”, rassicurando il lettore sulla propria onestà di saggio veggente, e di privilegiato testimone: “fedeltà / All’immagine appena promessa, fedeltà alla parola / Non pronunciata nella breve memoria”.Il poeta impara dalla propria emotività ad amare il mondo semplicemente osservandolo, quasi constatandone con meraviglia la consolante bellezza, e sa di dover rendere agli altri, gratuitamente, nei versi, ciò di cui si è arricchito: “Ancora non so chi io aiuti così / A raccogliere i frantumi del mondo – / Piuma di gabbiano, piuma di angelo, questa parola…”; “Sono esperto di spazi di speranza, / Di spazi di pietà moderata”.

E non c’è nessuno iato tra natura e storia, passato e presente, privato e pubblico. Con la stessa dedizione Ivan Lalić descrive città europee (Venezia, Aquileia, Cambridge…) e campagne, affetti personali (la splendida commemorazione sulla tomba della madre) ed eventi bellici, echi biblici o classici e cronache giornalistiche: “essere / Fedele al visibile: ecco il compito vero”; consapevole della sua responsabilità di scrittore: “Chi ha lottato con l’angelo, ha compiuto / La storia in una notte: // a noi è prescritto / Di ricordare, di infliggere colpi; / Al pesco è prescritto di fiorire”.

 

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