SÉBASTIEN LAPAQUE, TEORIA DELLA CARTOLINA – ARCHINTO, MILANO 2015

A chi non è capitato, sfogliando un vecchio volume recuperato tra molti altri nella libreria del salotto, di ritrovarvi come segnalibro una cartolina, firmata da qualche lontano parente, da un amico mai più rivisto, da un nome che si stenta a decifrare, o che non si avrebbe voluto riconoscere? Questo piccolo libro del romanziere, critico letterario e polemista francese Sébastien Lapaque (1971) è un omaggio alla cartolina illustrata, «oggetto vivo in mezzo a tanti gadget inerti da cui vengono oppresse le nostre vite semplificate».
Nonostante l’autore ripeta a più riprese di non voler scrivere una celebrazione nostalgica «al trapassato remoto» di un piacere fuori moda, in un mondo che ormai parla «solo il linguaggio binario del computer», il suo è in realtà un omaggio riconoscente, un elogio commosso al cartoncino affrancato che ha accompagnato per decenni le nostre vite, puntellando non solo i nostri viaggi, gli affetti, le memorie personali, ma documentando avvenimenti storici e testimonianze geografiche, sottolineando eventi di cronaca, comunicando appuntamenti, parole d’ordine, messaggi cifrati…
Lapaque fornisce dettagli importanti sulla rilevanza ancora attuale della cartolina, persino da un punto di vista economico: in Francia, si vendono trecento milioni di cartoline l’anno di cui due terzi in estate (quindi, cinque cartoline l’anno per ogni francese); sono stampate su carta patinata od opaca, pesano 3 grammi e hanno una misura standard di 14×9; dal 1889 sono state spedite cinque miliardi di immagini della Torre Eiffel; esistono tuttora 145.000 cassette delle lettere, gialle-rosse-color bronzo, purtroppo minacciate da un progressivo smantellamento.
Però non sono tanto queste notizie a rendere particolare il volume appena edito da Archinto, quanto la poesia discreta che emana dalla scrittura dell’autore, il quale considera l’inviare cartoline una vera e propria terapia, un atto di resistenza contro il dilagare dei ben più impersonali sms e dei gelidi twitts: le parole con cui si scrivono le cartoline sono «parole di letizia e d’incanto, parole azzurre, parole leggere». Al punto che addirittura le cartoline anonime risultano essere un gioco, sono allusive, mai minacciose, rimandano a un vissuto comune a chi le spedisce e a chi le riceve: «Non si è seri quando si scrivono cartoline». E sul retro riconosciamo segnali di vita vissuta, il tremore o l’emozione di una mano, il francobollo in cui rimane incollato il respiro del mittente.
Proprio ai mittenti Lapaque dedica pensieri grati, immaginando le loro speranze e attese, le loro rabbie o pentimenti: perciò rivela la sua antica e appassionata abitudine di acquistare vecchie cartoline da antiquari e rigattieri, per poter ricostruire innamoramenti e abbandoni, tenerezze infantili e gelosie maritali, per scoprire località lontane o trascurate, paesaggi artici o infuocati, stazioni, monumenti, montagne e oceani, visi famosi o sconosciuti. Ma l’autore non solo legge, colleziona e interpreta cartoline altrui: ne acquista moltissime, ovunque, e le spedisce a tutti, arricchite di citazioni, versi, auguri in rima, sollecitazioni letterarie, disegni colorati.
Mi chiedo se esistano ancora quelle cartoline per l’infanzia che ho contribuito a produrre, nei miei anni universitari milanesi, lavorando in nero in un laboratorio di Città Studi: ritraevano pupazzi con occhietti di plastica e pupille mobili, oppure con fischietti interni che risuonavano se le si premeva nel centro. E con un po’ di nostalgia riascolto, complice la lettura di Sébastien Lapaque, la voce di una dolce Marisa Sannia che cantava sulle note di Endrigo: «Almeno per Natale, fammi sapere dove sei: mandami una cartolina, scrivimi una cartolina…». Sperando, appunto, di ricevere per Natale una cartolina innevata in più e una sbrigativa mail in meno.

 

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4 dicembre 2015