MARIO LUNETTA, I RATTI D’EUROPA – EDITORI RIUNITI, ROMA 1977
GIOVANNI PASCUTTO, LA FAMIGLIA E’ SACRA – MONDADORI, MILANO 1977
GIUSEPPE MANCINI, DEVOTISSIMO IN CRISTO – FELTRINELLI, MILANO 1977

I tre romanzi di cui sto per scrivere non hanno nulla in comune se non il fatto di essere usciti tutti da tre grosse case editrici e di essere genericamente appartenenti a un’area di sinistra. Il primo è I ratti d’Europa, di Mario Lunetta, un romanzo scritto per l’intellighenzia comunista, e finito nella cinquina del Premio Strega. Molti funzionari del partito, degli intellettuali che fanno quadrato intorno al PCI potrebbero riconoscersi nel protagonista, nelle sue nevrosi, nelle sue manie di persecuzione. Questo Omar Nepero (forse giornalista, forse critico, certo un raffinato della cultura, un ghiottone di citazioni) si sente costantemente preso di mira da cecchini invisibili ma attivissimi, che alla fine riusciranno a farlo fuori (che liberazione allora! ma la morte come pace risolutiva è un rimedio vecchio…), e da una polizia segreta che lo pedina, lo tormenta, addirittura lo tortura. Un clima asfissiante (reso formalmente in maniera sapientissima, con continui sbalzi di registro narrativo: una nevrosi della scrittura) che si ritrova in qualsiasi parte dell’Europa il protagonista venga catapultato. Varsavia come Atene, due facce di due diverse dittature. Roma è la città-sfondo, sembra impazzire di violenza e di ambiguità: il partito nella sua solennità di Via Botteghe Oscure non protegge più, è anzi chiuso; i compagni sono intrepidi salottieri piuttosto ottusi. Ciò che è pubblico (bollettini radiofonici, titoli di giornali o semplici elementi di vita quotidiana) si sovrappone al privato reso ormai una farsa, una larva di vita: lo amplifica in visioni mostruose, terrificanti; il soggetto si sdoppia e si annulla, a un certo punto è lo scrittore stesso a parlare in prima persona. Il libro è scritto bene: pesa forse un certo sfoggio di intelligenza, di bravura tecnica, e alla fine ci si chiede perché mai questo intellettuale di successo (Nepero-Lunetta) scappi continuamente, da chi si senta così perseguitato. Non ci si crede, insomma, alla sua opposizione, alla sua scomodità, perché parla lo stesso linguaggio di chi perseguita.

Il secondo romanzo è una specie di lungo racconto umoristico di un giovane scrittore friulano, Giovanni Pascutto, alla sua seconda prova. Precedentemente, Pascutto aveva pubblicato un romanzo sul servizio militare che gli era stato molto lodato dalla stampa borghese. Anche questo La famiglia è sacra, che dovrebbe prendere di mira l’istituzione famigliare, ha ricevuto calde accoglienze dalla critica. In realtà è un libro un po’ da spiaggia un po’ da treno, con alcuni spunti divertenti perché può capitare a tutti di ritrovarsi nel protagonista Giuseppe, e in alcune sue riflessioni davanti a una Milano imperiosa e ghignante. Certo l’umorismo di Pascutto non graffia e non inventa niente di nuovo: ma i personaggi sono tutti credibili rappresentanti di una piccola borghesia con qualche ambizione intellettuale, una sfilata di “credo” qualunquisti di minima e varia umanità da disimpegno, che fanno se non ridere sorridere. Hanno sbagliato quei critici che hanno visto nel giovane Giuseppe un esemplare indiano metropolitano. In realtà qui non ci sono denunce né critiche, le aspirazioni rimangono borghesi (donne e dané), il malessere è tutto contingente e individuale.
Infine è uscito un romanzo biografia nella collana I franchi narratori di Feltrinelli, Devotissimo in Cristo, di Giuseppe Mancini, che racconta la carriera di un sacerdote, la sua vita fra i fedeli nella struttura gerarchica della chiesa. Nella forma di un diario, Don Giulio narra le sue esperienze, dallo slancio iniziale e dal fervore caritatevole con cui apre il suo apostolato, ai compiti delicatissimi di diplomazia cattolica che gli vengono affidati, alle guerre aperte dichiarategli fino alla resa vissuta in solitudine. Nello scrittore permangono strutture mentali cattoliche, da un’acuta misoginia a un senso morboso del peccato e della tentazione. Il diario è teso e asciutto, scritto polemicamente e con una certa -naturale- acredine: potrà interessare chi ha avuto, anche di riflesso, esperienze simili di fede e di lavoro.

«Quotidiano dei Lavoratori», 10 dicembre 1977