VITO MANCUSO, IL CORAGGIO E LA PAURA – GARZANTI, MILANO 2020

L’epigrafe che Vito Mancuso ha scelto di apporre in apertura del suo ultimo libro, Il coraggio e la paura, è una delle più famose e citate frasi di Giovanni Falcone: “L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio, è incoscienza”.

Accettando l’invito dell’editore a rielaborare alcuni suoi interventi giornalistici relativi all’attuale pandemia del Covid, Mancuso si è proposto di contribuire ad alleviare il senso di timore, esclusione, impotenza che ha pervaso e condizionato pensieri e comportamenti della maggior parte delle persone in questa terribile contingenza, offrendo loro sollievo e consolazione.

Come fare, quindi, a sfuggire dal sentimento alienante che blocca il respiro e azzera le prospettive del futuro, come reimparare a sorridere, a schiarire mente e sguardo? “Facendo tesoro della saggezza esistenziale e spirituale distillata lungo i secoli da chi ci ha preceduto”: dai filosofi classici, dai maestri cristiani e orientali della spiritualità. In primo luogo è necessario sfatare il pregiudizio che la paura sia sempre qualcosa di negativo, e il coraggio sia solo una qualità positiva. Senza paura si scade nella temerarietà, nella sconsideratezza, nella sottovalutazione del pericolo, e con un’esibizione eccessiva del coraggio si rischia la vanteria, il narcisismo, l’aggressività.

La paura non si vince con il coraggio, cioè con un atto di forza, ma con la saggezza, “bisogna
piuttosto scioglierla con la luce dell’intelligenza unita al calore del cuore”. Ascoltando le motivazioni della paura, siamo in grado di comprenderla e di vincerla. Per disarmarla, e raggiungere la padronanza di sé, secondo Mancuso è necessario frequentare le “cose buone” dell’esistenza: buone letture, buona musica, buone amicizie, e il contatto sano e partecipe con la natura, che aiuta a ingentilirci, rendendoci meno supponenti e più affettuosi. Prendersi cura della propria interiorità, lasciando spazio alla meditazione, alla contemplazione, al silenzio, riduce l’ansia prodotta dall’attivismo sfrenato, dalla corsa al successo.

Tante sono le emozioni che animano l’essere umano, alcune frenandolo, inibendolo, altre espandendone e arricchendone la coscienza sia individualmente sia socialmente: rabbia, tristezza, felicità, disgusto, sorpresa, compassione, imbarazzo, vergogna, senso di colpa, disprezzo, gelosia, invidia, orgoglio, ammirazione. Altrettanti sono i sinonimi della paura, gli aggettivi e i verbi associati ad essa, le gradazioni in cui si manifesta (dal presentimento e dal sospetto, fino al panico e al terrore), i modi in cui le reagiamo (scappando, immobilizzandoci, opponendoci), a significare quanto questo sentimento sia universale, innato, costitutivo di ogni essere vivente.

È l’amigdala il centro di rilevazione e di controllo delle nostre emozioni, che le rielabora in base alle informazioni ricevute dagli ormoni del cortisolo e dell’adrenalina. Ma non agiamo condizionati solo dai nostri neurotrasmettitori, né possiamo ridurre la nostra psiche a combinazioni biochimiche, plasmati come siamo da una cultura millenaria.

Le argomentazioni di Vito Mancuso diventano via via più coinvolgenti, man mano che si inoltrano nei campi che gli sono più consoni, e ne hanno fatto uno dei filosofi e teologi più seguiti oggi in Italia. Le sue citazioni abbracciano la letteratura e il pensiero di ogni epoca e luogo, e spaziano da Omero a Montale, da Kierkegaard a Wittgenstein, includendo ovviamente i testi sacri ebraico-cristiani e orientali, che nelle loro esortazioni suggeriscono diversi atteggiamenti nei confronti della paura: dall’affrontarla, al bandirla, all’ignorarla, a semplicemente ascoltarla, prendendo atto che esiste in noi e dobbiamo farne uno strumento di conoscenza interiore e di crescita spirituale.

Dopo essersi a lungo diffuso sull’accezione di paura, l’autore riflette nella seconda parte del libro sul concetto di coraggio, inteso come atto di forza morale, fondato sulla fiducia, sulla speranza e sull’ottimismo operativo. Mancuso analizza l’etimologia del termine, che deriva da cor, cuore, lì dove hanno sede i sentimenti più nobili. In latino veniva chiamato virtus, in greco andréia, ed entrambi i vocaboli, nel mondo antico, avevano una strettissima connessione con la forza esercitata nel combattimento, nelle imprese di guerra affrontate valorosamente.

Da cosa possiamo e dobbiamo trarre coraggio? Dall’istinto di sopravvivenza, dall’amore per i nostri cari, dal desiderio di riconoscimento sociale e di gloria, dal senso del dovere, dalla fede, dal bisogno, da un’ideologia e addirittura dalla volontà di vincere un nemico. Sono molte le motivazioni che ci spingono all’audacia e alla forza di carattere. Essenziale è avere una meta da raggiungere e un porto in cui rifugiarsi per trovare conforto. Se quindi vogliamo tentare di definire cosa sia il coraggio, possiamo qualificarlo come capacità di sconfiggere la paura di esistere: forse la prima che proviamo venendo al mondo, e contro cui combattiamo quotidianamente. Per stemperarla e renderla inoffensiva, Vito Mancuso suggerisce una risposta, valida per chiunque voglia crederci e praticarla: la benevolenza verso sé stessi e gli altri, l’importanza di mantenersi saggi, giusti e temperanti, nel “qui e ora” di ogni giorno. Anche nell’oggi della crudele pandemia che il mondo sta attraversando.

 

© Riproduzione riservata                    25 giugno 2020

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