MASSIMO MANTELLINI, DIECI SPLENDIDI OGGETTI MORTI – EINAUDI, TORINO 2020

Massimo Mantellini (Forlí, 1961) è uno dei nostri maggiori esperti di internet. Collabora a diverse testate giornalistiche, occupandosi di temi legati alla cultura digitale, alla politica delle reti, alla privacy e al diritto all’accesso. Ha da poco pubblicato con Einaudi Dieci splendidi oggetti morti, un saggio dedicato a dieci cose-arnesi-utensili-articoli-prodotti (oggetti, insomma) che hanno fatto parte della nostra quotidianità per molti anni, e ora non vengono più usati. Sono morti. Desueti, ridicoli, addirittura imbarazzanti. Eppure sono stati compagni fedeli delle nostre esistenze, quasi parenti stretti e insostituibili.

Mappe stradali, telefoni fissi, penne stilografiche, lettere e francobolli; che fine hanno fatto, nelle abitazioni, nelle auto, nelle borse delle persone? Il libro parla di loro, dell’autore, di ognuno di noi, collegando passato e futuro, privato e pubblico.

La piantina di Parigi su cui un personaggio flaubertiano cercava di orientarsi era forse la progenitrice delle enormi mappe stradali Michelin, complicatissime da ripiegare dopo averle consultate con estrema difficoltà (come riuscivamo a districarci tra i vari colori delle strade, i nomi quasi illeggibili dei paesini, le distanze segnalate in chilometri da addizionare?). Erano esposte con il loro bel colore rosso o blu nelle stazioni di servizio, negli autogrill, e poi conservate nelle tasche laterali dell’auto. Oggi abbiamo il GPS, Google Map, Street View, che ci impediscono di perderci, o ci fanno perdere con strategica crudeltà: il processo intrapreso dall’umanità è comunque quello di eleminare ogni imprecisione, fino al raggiungimento utopico dei mezzi di trasporto a guida autonoma.

E il telefono, quello grigio o nero SIP, con la rotella di composizione, e poi con la più moderna tastiera, appeso all’entrata o appoggiato su una credenza, con quale supponente stupore verrà giudicato da un adolescente di oggi, abituato allo smartphone, agli sms, a WhatsApp: cosa resterà a testimoniare l’esistenza delle cabine a gettone, se non qualche film d’antan?

Se poi pensiamo ai mezzi con cui le persone hanno lasciato tracce scritte di sé, ecco che dobbiamo recuperare vecchie Olivetti, carta carbone, penne a stilo, esercizi di calligrafia, consapevoli che anche solo scrivere a mano una cartolina è diventato per molti di noi un esercizio muscolare piuttosto faticoso. Sembra che persino le tastiere dei nostri pc verranno presto sostituite da gelide tecnologie vocali, quindi chissà se si stamperanno ancora francobolli e si imbucheranno lettere; certo non ci capiterà più di aprire con trepidazione telegrammi gialli consegnati con urgenza…

La macchina fotografica analogica, con la cara vecchia pellicola nel rullino di plastica, è stata soppiantata da quella digitale, facile e democratica, utilizzata universalmente con la diffusione maniacale dei propri selfie su Instagram. Al libro si preferisce il più agile ma impersonale e-book, che non conserva traccia del nostro possesso individuale (mentre la scomparsa di enciclopedie, dizionari, elenchi telefonici non ha lasciato grandi rimpianti negli utenti). Lettori e acquirenti di quotidiani sono una razza in via di estinzione, le edicole smobilitano, le riviste cartacee falliscono: pertanto i giornali, come i dischi in vinile, le cassette e i cd, sono diventati merce rara, rimpiazzata da altri sistemi di formazione/informazione: Facebook, YouTube, Spotify, Pandora o Apple Music.

Anche i fili e i cavi elettrici sono stati sostituiti dal più asettico e ordinato wi-fi. La contemporaneità si è ripulita di tanti orpelli, quasi magicamente sterilizzata, avvolta da un “rumoroso silenzio”. Così come l’inquinamento luminoso delle nostre città ha cancellato le stelle nei cieli notturni.

Massimo Mantellini ci racconta gli “oggetti orfani” – quelli che abbiamo seppellito -, con affettuosa nostalgia, recuperando ricordi della propria infanzia, e abitudini collettive dimenticate: lo fa citando viaggi, incontri, romanzi, testi filosofici, spettacoli teatrali e cinematografici. Senza esimersi da considerazioni teoriche importanti, velate da un rimpianto non classificabile come conservatore o passatista, ma certo caratterizzato emotivamente: “La tecnologia brutalizza gli oggetti morti, li sostituisce senza ripensamenti, scioglie ogni poesia che li avvolge. Sposta le cose della nostra vita dall’ingresso di casa alla cantina, e poi dalla cantina alle aste di modernariato su eBay o alle teche di qualche museo del design. E in questo processo di rapida sostituzione anche una parte della nostra umanità rischia di essere cancellata. Fino a un mondo nel quale gli oggetti smetteranno di essere connessi a noi e perderanno ogni importanza”.

 

© Riproduzione riservata                 «Gli Stati Generali», 8 novembre 2020