CARLO MARIA MARTINI – ALAIN ELKANN, CAMBIARE IL CUORE – BOMPIANI, MILANO 1993

Cambiare il cuore è l’esortazione che rivolge a tutti i credenti il Cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano, in un’intervista concessa ad Alain Elkann e pubblicata da Bompiani. Cambiare il cuore prima ancora dei pensieri e degli atteggiamenti, prima ancora delle abitudini e degli scenari su cui si muove la nostra quotidianità: ed è un cambiamento che si attua ponendosi soprattutto in una posizione di silenziosa e fiduciosa attesa, di disponibilità all’incontro con Dio che, se aspettato con fede, arriva e non delude. Incalzato dalle domande, sempre molto corrette e trattenute, quasi pudiche, di Elkann, il Cardinale Martini si lascia coinvolgere dalle tematiche più varie, spaziando dalla banalità del contingente all’universalità, dal concreto alla teoria. Accenna brevemente ad alcuni particolari biografici (la nascita a Torino da una solida famiglia borghese non particolarmente religiosa, il rapporto più intenso con la madre e un fratello, la passione per la montagna e per il teatro), per soffermarsi più a lungo sulle scelte fondamentali che hanno disegnato i confini della sua esistenza. Dapprima, quindi, la presa di coscienza di quale destino lo aspettasse: «Mi sembra che sia stato tra i dieci e gli undici anni, quando ho incominciato a intuire che Dio voleva davvero entrare in un rapporto personale con me, che io potevo parlargli come a un amico, che c’era tra noi una vera amicizia. In quel tempo ho anche cominciato ad avere il senso della ‘totalità’ di Dio, cioè la percezione che Dio è tutto e può chiedere tutto, la dedizione di una persona e della sua intera esistenza».

In seguito, con la giovinezza, più espliciti si fanno i punti di riferimento culturali, le letture, gli esempi che emozionano e motivano (S. Tarcisio, S. Luigi Gonzaga, S. Stanislao Kostka), per arrivare ai problemi e alle tentazioni adulte su cosa sia la fede, su come conquistarla e mantenerla, narrati attraverso la pregnante metafora dello scalatore sorpreso da un banco di nebbia, e che pure, attaccato alla roccia, attende il ritorno del sole. Con estrema umiltà, il Cardinale confessa quanto può essere difficile oggi esercitare il sacerdozio: «Certo, vi sono stati momenti in cui l’esperienza di essere prete e religioso mi è apparsa particolarmente faticosa, al limite della sopportabilità…ma gli anni non hanno fatto che confermare la bontà della scelta presa all’inizio». Consapevolezza della propria finitudine di creatura, ma anche coscienza di un’ineliminabile tensione all’infinito, che si può raggiungere attraverso la riflessione e il silenzio: «Senza silenzio mi sento dilacerato dalla molteplicità delle cose che mi cadono addosso e che vorrebbero monopolizzarmi. Ho dunque bisogno dell’ascolto di Dio così come ho bisogno dell’aria per respirare».

Ciò che ci sembra più particolarmente e generosamente aperto alle istanze religiose dell’uomo d’oggi, è che il Cardinale Martini torni a parlare delle questioni fondamentali della fede (vita e morte, peccato e redenzione, Chiesa e altre religioni), senza immiserire il dibattito in questioni formali tanto di moda tra altri teologi: la sessualità è un dono, e Martini non parla di limitazione delle nascite; l’aids è una tragedia, e i suoi malati sono fratelli da accogliere, da comprendere. Parole coraggiose anche nei riguardi dei poveri, di chi non ha lavoro, della sua diocesi di Milano e di tutte le questioni politiche, metropolitane e planetarie che siano. Ma soprattutto un richiamo forte e cordiale a chi pratica altre religioni (in primis l’ebraismo), effettuato materialmente con la fondazione della  Cattedra dei non credenti, ormai alla VI edizione in Milano, affinché il confronto riesca ad approdare a una ricerca comune. Il tono di ogni risposta di Carlo Maria Martini è affettuoso, indulgente, senz’altro non dogmatico, di sprone alla nostra potenzialità di arricchimento, ben sapendo che la «fatica del vivere» è di tutti: la nostra, quindi, ma anche la sua, «perché anche coloro che hanno ‘un ruolo’ la condividono senza sosta né sconti con ogni uomo e donna, vecchio e bambino, malato e disperato della terra».

 

«L’Arena», 3 febbraio 1994