GUIDO MAZZONI, LA PURA SUPERFICIE – DONZELLI, ROMA 2017 – euro 13 – pp. 78

La chiave per entrare nelle poesie di questo volume edito da Donzelli sta forse nella citazione di Kafka ad esergo: «Da tutte le cose mi separa uno spazio cavo che non mi affretto a delimitare».

La pura superficie delle cose, che Guido Mazzoni osserva e racconta in versi e prosa, rimane appunto cava, distante, estranea, offrendosi indifferente allo sguardo dell’autore, compreso in un ruolo di documentarista obiettivo e poco coinvolto nell’esplorazione di sé e del non sé, quasi infastidito dalla materialità di ogni vicinanza. Contiguo è l’altro, ma non vicino. E anzi, disturbante, angoscioso nella sua pretesa di rendersi presente, nella sua presuntuosa richiesta di attenzione: «la vita degli altri è bianca e spettrale», «Ciò che siete non è reale. Ciò che siete vi oltrepassa a ogni istante», «siete un luogo inabitato».

Se gli altri sono “spettrali”, l’autoritratto che l’autore dipinge di sé è altrettanto impietoso: «Sono una piccola persona, nessuna fede / mi accoglie veramente, voglio molto poco», «Io sono soltanto questo aneddoto», «Non aderisco a nulla», «Ho quarant’anni, sono fatto di pezzi, nulla mi giustifica». Esperienze personali e tragedie collettive risultano intercambiabili, nella coscienza poetica attonita e sconcertata di Guido Mazzoni (il Brasile delle favelas e del latifondo, il G8 di Genova, le Torri Gemelle, l’oscena ferocia delle esecuzioni dell’Isis): brani narrativi intercalati a versi, risentiti nel richiamo severo a un’indignazione morale che tuttavia si confessa insincera, fittizia, probabilmente morbosa nella sua attrazione verso la brutalità delle stragi: «si capisce che gli altri non ci riguardano o non ci interessano», «Da qualche tempo gli eventi scivolano sopra di me, / non mi toccano».

Uno schermo difende e protegge da ogni alterità, e insieme intrappola, condanna a un’inscalfibile incomunicabilità, a una gelida ipnosi. Tanto è vero che il mezzo di trasporto più raccontato è anche il più freddo e impersonale, il più veloce e sotterraneo: la metropolitana, in cui è impossibile stabilire qualsiasi tipo di rapporto che travalichi “la pura superficie”: i viaggiatori si guardano “opachi”, definendosi tra loro con un unico attributo (calabrese, simpatico, studente fuori sede, tatuata, stronzo, filippino…). Il reale, la storia non appaiono più interpretabili con gli schemi rigidi del passato – bene e male divisi nettamente a metà, capitalismo e socialismo, sfruttati e sfruttatori – se persino il proletariato dà fastidio, le donnette precarie sono galline, i giovani insulsi e prede di tempeste ormonali, i colleghi insopportabilmente vacui. Small talk, telefonate, cene noiose, cazzeggi, video porno, sesso intristito, fisicità escrementizia. Si salvano rare e antiche relazioni amichevoli, mai troppo intime, con intellettuali di cui viene citato il nome, collaboratori del blog ideato dall’autore: Gigi Simonetti, Rino Genovese, Daniele Balicco. Oppure uno scampolo di genuinità può venire offerto dalla lettura reinterpretata di Wallace Stevens, presente in ogni sezione del volume con la sua serena adesione all’autenticità della natura.

Un’infelicità senza desideri, quella espressa da Guido Mazzoni, in versi che forse lui stesso troverebbe retorico definire poetici: denotativi, prosastici, privi di qualsiasi ritmo, artificio letterario, innovazione linguistica: «Ho scritto un testo che non tende a nulla. Vuole solo esserci, come tutti. / Ho scritto un testo che rimane in superficie».

 

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www.sololibri.net/pura-superficie-poesie-mazzoni.html         4 ottobre 2017