ALICE OSWALD, MEMORIAL – ARCHINTO, MILANO 2021

Alice Oswald è nata a Reading nel 1966, ha studiato lettere classiche a Oxford, dove ora è Professor of Poetry. Ha pubblicato diverse raccolte di versi e vinto premi prestigiosi, raggiungendo il maggiore successo con Memorial, una rivisitazione in versi dell’Iliade. Proprio questo libro è stato da poco edito da Archinto con testo inglese a fronte, traduzione e cura di Rossella Pretto e Marco Sonzogni, che nella postfazione offrono un ritratto dell’autrice, incontrata a Bristol nel 2019 (“Ha lunghe mani nodose e capelli d’argento… un viso severo, epico nelle sue spigolosità, e occhi scavati e che scavano, di un blu insondabile”). Lo scavo è citato anche nel sottotitolo del libro, Uno scavo dell’Iliade, a indicare quanto profondo sia stato lo scandaglio emotivo con cui la poeta ha riportato alla luce il travaglio di vita e morte dei guerrieri protagonisti del poema omerico. Alice Oswald sottolinea di non aver voluto recuperare, nei suoi versi, la vicenda della guerra di Troia, ma di essersi proposta di renderne l’atmosfera, l’energia infuocata, privandola “delle sue parti narrative, come se si togliesse il tetto a una chiesa per ricordare ciò che si sta venerando”.

Il volume si apre su nove pagine in cui sono elencati, uno sotto l’altro, in stampatello, i nomi dei combattenti caduti, da Protesilao a Ettore, scarna litania di duecentoventotto eroi per lo più sconosciuti o irrilevanti, ma di cui sono poi brevemente raccontate le biografie, a imitazione delle lamentazioni greche modulate dai rapsodi durante le celebrazioni funebri. Un “cimitero orale”, viene definito da Oswald il suo testo, composto parafrasando l’originale omerico.

Ecco dunque questa Spoon River omerica, inaugurata da un commovente cameo: “Primo a morire fu PROTESILAO / uomo risoluto che presto s’avventò nel buio / … Morì nel balzo di chi cerca per primo l’approdo / Lasciò la casa costruita a metà / La moglie corse fuori artigliandosi il viso…”. Numerose altre descrizioni di guerrieri condensano in poche e asciutte righe i tratti salienti di un’intera esistenza votata agli affetti domestici e poi travolta dal turbinio della guerra, per concludersi nel sangue, lontano da casa: “ASSILO figlio di Teutrante / passò la vita nel ridente porto di Arisbe /… Tutti conoscevano quell’uomo paffuto / Seduto sul gradino spalancata la porta / Lui che tanto amava gli amici morì”, “IFIDAMANTE ragazzotto ambizioso / Diciottenne irrequieto / Dalla famiglia fu subissato d’amore /… Povero Ifidamante ora non è altro che ferro / Che dorme sonno ferrigno”, “Torna nella tua città SOCO / Hai padre ricco allevatore di cavalli e casa /… In faccia piume d’uccello / Ti disfano a colpi di becco / Gli occhi ti divorano i tuoi aperti occhi / Che tua madre avrebbe dovuto chiuderti”.

Infine l’eroe per antonomasia: “E anche ETTORE morì come gli altri / … Ettore amava Andromaca ma infine / Il suo viso stornò dalla mente / A lei ritornò cieco / Spossato spento / Solo volendo esser lavato e arso / E che avvolte in soffici stoffe / Le sue ossa tornassero alla terra”.

L’originalità del classicismo di Alice Oswald, in questa rielaborazione dell’Iliade attraverso la strage di tante giovani vite, risiede soprattutto nell’accompagnare le secche note biografiche con similitudini di trasparente lirismo, proprio dello stile omerico. In tale maniera la sofferenza umana (la crudele agonia, il lutto dei familiari, il crollo di ogni speranza nel futuro, il disonore della sconfitta) viene confrontata e assorbita nel dolore di tutti gli esseri viventi, animali e piante, e nello scorrere imperturbabile del tempo cosmico. Il “come” introduttivo a ogni metafora è insieme livellante e consolatorio, e acuisce l’emozione che tutti proviamo di fronte a qualsiasi definitivo epilogo dell’esistenza: “Come quercia colpita dal fulmine / Lancia le braccia in aria e arde”, “Come bimba s’aggrappa / Ai vestiti della madre che ha fretta / Vuole aiuto vuole braccia / Non vuole lasciarla andare”, “ Come famiglie d’uccelli che becchettano al fiume / Centinaia d’aironi e oche e cigni dal collo lungo / Quando un tizzone d’aquila famelico carbone rovente / Giù dal cielo si fionda in ali erompendo”.  E infine: “Come foglie chi può scrivere la storia delle foglie / Il vento ne soffia a terra i fantasmi / E primavera alita nuova foglia nei boschi / Migliaia di nomi migliaia di foglie / Quando li si ricorda si ricordi questo / Corpi morti ne sono il lignaggio / Che conta non più delle foglie”.

© Riproduzione riservata          «Gli Stati Generali», 11 agosto 2021