VALERIA PARRELLA, IL VERDETTO – LA NAVE DI TESEO, MILANO 2020 (ebook)

Nome omen, dicevano gli antichi, e il nome dei due protagonisti del racconto di Valeria Parrella rispecchia il destino tragico di due eroi del mito, raccontati sia da Omero sia dai tragici greci e latini. Ne Il verdetto, Clitemnestra e Agamennone ripercorrono i passi dei loro omonimi classici, ripetendone passioni, rancori, tradimenti, vendette e morte.

Il testo è una rielaborazione dell’atto unico rappresentato nel 2007 allo Stabile Mercadante di Napoli con la regia di Mario Martone: un monologo femminile interrotto da brevi interventi della voce maschile, talvolta modulati su testi di canzoni partenopee. Nell’introduzione l’autrice precisa che l’intreccio della vicenda non è tratto dalla cronaca, né va letto come puro rifacimento della leggenda: risponde invece all’esigenza di indicare motivazioni più universali, tratteggiando il nodo che lega indissolubilmente due amanti in un rapporto masochistico di dipendenza reciproca, di gelosia e sacrificio.

Clitemnestra è una liceale di estrazione borghese che si innamora di un piccolo camorrista, e sfidando l’anatema familiare e la riprovazione cittadina, lo sposa e diventa la madre dei suoi tre figli. Nella sua scelta è spinta non solo dall’attrazione fisica (“certe spalle così larghe e certi occhi così profondi”), ma anche dal fascino esercitato dalla durezza dell’ambiente popolare, grossolano e brutale, in cui si inserisce. (“Tutto ‘sto teatro me piaceva”). Agamennone in poco tempo si impone come boss nel cerchio malavitoso, divenendone ‘o re, mentre a Clitennestra, così forbita nell’esprimersi, così diversa da tutte le altre donne del clan, subito viene riconosciuto il ruolo di regina. La coppia, a prima vista tanto male assortita, si trasferisce sulle pendici del Vesuvio, in una “villa troppo bella, isolata, alta, che dominava e doveva dare l’impressione di dominare”.

Lui però era sempre assente, impegnato in azioni di fuoco che lo portavano lontano, in missioni segrete da cui tornava sempre più rabbuiato e invelenito, sempre più cattivo: “D’accordo: mancava. Mancava sempre dal letto, da casa, dalla città. Finiva n galera, usciva, partiva, scompariva per giorni e neppure io, la moglie, dovevo sapere che fine aveva fatto. Ma quando tornava, allora era Agamennone che tornava… era Agamennone che mi dormiva affianco… lui era Agamennone, e io la femmina sua, il mio utero per moltiplicare la sua immagine”. Quando la guerra di camorra si fa più feroce, la prima vittima in famiglia è la giovane figlia, Ifigenia come la vergine adolescente del mito: ne derivano uccisioni e vendette, fughe, sparizioni. La separazione, l’esilio e il silenzio durano dieci anni. Entrano in gioco i reciproci amanti, Cassandra ed Egisto, il rancore e la rabbia soffocano qualsiasi altro sentimento, fino all’inevitabile e sanguinoso epilogo: “Così io sono stata Clitemnestra che amava e Clitemnestra che ama. Io sono Clitemnestra che ha aspettato, Clitemnestra che correva in avanti a costruire muri contro Agamennone e Clitemnestra che vorrebbe tornare indietro. Nulla di quello che ho fatto ha avuto senso se non in me, tutto è stato governato da Necessità eppure nulla è stato scelto, eppure nulla rinnego”.

In un crescendo di pathos che mantiene qualcosa dell’epos tragico, Valeria Parrella fa della protagonista una vittima del fato e della passione più ottenebrante: “uccidendo Agamennone, uno e unico ho versato il Mio sangue, perché è a me che ho tolto la vita”.

A questo punto, ogni applicazione della giustizia umana risulta sterile e assurda, perché la condanna è ovviamente auto-inflitta ed eterna.

 

© Riproduzione riservata                 6 maggio 2020