CINQUE DOMANDE A RANIERI POLESE

Ranieri Polese è nato nel 1946 a Pisa; ha studiato filosofia e, dalla fine degli anni Settanta, è membro del sindacato Critici cinematografici. Ha scritto per le pagine culturali di diversi giornali (La Nazione, L’Europeo). Dal 2006 ha curato l’Almanacco Guanda. È stato caporedattore cultura e inviato del Corriere della Sera, a cui ancora collabora. Tra i suoi libri: Il film della mia vita, Rizzoli 2005; Almanacco Guanda. La bugia: un’arte italiana, Guanda 2013; Per un bacio d’amor, Archinto 2017; Tu chiamale, se vuoi…, Archinto 2019.

 

  • Le origini familiari, gli studi, le passioni culturali. Firenze e poi Milano. Cosa ci può raccontare della sua formazione?

A Firenze mi laureai in Filosofia morale su un dimenticato filosofo hegeliano (Angelo Camillo De Meis), amico di De Sanctis ma politicamente molto conservatore. In quegli anni Sessanta, anche se davo esami sugli scritti giovanili di Marx, sulla Fenomenologia di Hegel ecc., cinema e canzoni erano ugualmente importanti. Al cinema si vedeva tutto: da Bergman alle farse italiane di Franco e Ciccio, da Godard e Fellini fino a 007. E il Festival di Sanremo era un’altra cosa da cui non si poteva prescindere. Erano anni che stimolavano la curiosità, tutto era cultura, passato e presente si intrecciavano (per il cinema c’era la funzione benefica dei Cineclub: lì si vedevano gli Espressionisti tedeschi, Renoir, Carné, Duvivier, i capolavori del cinema giapponese; oggi, su internet, si trova quasi tutto, ma chi dice ai ragazzi di oggi di cercarsi Murnau o Mizoguchi?).

  • Cinema, musica, costume. Quali tra questi tre importanti aspetti della cultura italiana ha segnato maggiormente il suo percorso intellettuale?

Come giornalista, ho lavorato sempre per le pagine spettacoli e cultura. Collaboratore e critico cinematografico (quando ancora il n. 2 doveva firmare: Vice), poi redattore, caposervizio e, a Milano, caporedattore della cultura al Corriere. Negli anni – tanti – sono cambiate molte cose, e non solo in cultura e spettacoli… Per esempio c’è stato un periodo in cui nessun argomento/personaggio si poteva trattare/intervistare se non desse adito alle polemiche. Oggi, fortunatamente, l’epoca della “Controversialità” mi sembra un po’ tramontata, ma restano sempre vecchi vizi: l’anteprima, l’esclusiva, il retroscena. Del resto, la politica è fatta ogni giorno così, e non mi sembra che le pagine di politica dei quotidiani servano a far capire molto il punto a cui siamo. Quando cominciai a scrivere di cinema, come Vice, era la grande stagione del cinema italiano di Serie B: Alvaro Vitali, Bombolo, Cannavale e le commedie sexy; e i poliziotteschi, con annessa parodia del sotto-genere con Tomas Milian, er Monnezza.

  • Ci può indicare almeno due nomi di elezione, suoi riferimenti mitici, per ognuno dei tre campi d’indagine citati?

CINEMA- A qualcuno piace caldo (ma in realtà tutto Billy Wilder); Otto e mezzo (ma anche La notte dei morti viventi, di Romero). MUSICA- Classica: Brahms, Ciaikovski, Puccini (decisamente romantico!). Pop rock: Rolling Stones; Ornella Vanoni. (Un solo cantautore: Gino Paoli). E tutti i songs di Brecht-Weill, magari cantati da Lotte Lenya, e molta Edith Piaf. DIVI E DIVE- Marlene Dietrich SÌ; Greta Garbo NO; Marilyn SÌ, Meryl Streep (bravissima) ma NO…

  • Com’è cambiato il giornalismo di costume dai suoi esordi professionali a oggi?
    Consiglierebbe a un giovane laureato di intraprendere la carriera di giornalista?

All’epoca, quando cominciai, c’era una grande attenzione ai titoli: spesso calembour, giochi con le parole, furti non sempre innocenti da canzoni e cinema. Era un esercizio molto divertente, poi tutto si è abbastanza appiattito. C’è solo Carlo Verdelli su Repubblica (e anche l’Espresso) a riprendere quel metodo, bravo! Cosa consigliare ai ragazzi di oggI? Leggere, studiare, guardare i grandi film di ieri, ascoltare canzoni e cantanti che oggi il rap/trap ha fatto scomparire, non fidarsi dei social, leggere quotidiani stranieri (Guardian; Le Monde; i grandi tedeschi), lasciar perdere gli/le influencer.

 

  • Nel suo ultimo volume indaga il rapporto tra poesia e canzone. Ci vuole illustrare in breve motivazioni e finalità di questa ricerca?

Continuando il libro sui baci, con l’attenzione per il grande patrimonio culturale/linguistico che la canzone rappresenta per l’Italia (i soli testi memorizzati in un’epoca, in una scuola che ha proibito lo studio a memoria dei poeti), ho voluto documentare quanto i testi di canzoni siano – quasi fino a oggi – debitori della cultura cosiddetta alta. Per scoprire che anche nelle “canzonette” si conservano echi di autori importanti.

© Riproduzione riservata

https://www.sololibri.net/Cinque-domande-Ranieri-Polese.html       3 dicembre 2019