MARCO REVELLI, UMANO INUMANO POSTUMANO – EINAUDI, TORINO 2020

Tra un Prologo inquietante (Il virus del disumano) e un Epilogo sgomentato (Finis terrae), Marco Revelli racchiude i nove densi capitoli del suo saggio Umano Inumano Postumano, costernata riflessione sulla nostra contemporaneità, così come si è andata trasformando dalle ceneri di un tragico passato novecentesco, e un futuro che si prospetta complesso e allarmante.

Revelli (Cuneo 1947), storico, accademico, attivista politico, ha al suo attivo molti importanti volumi di analisi e denuncia dello stato attuale della società italiana. In questo ultimo lavoro prende le mosse da alcune considerazioni relative al concetto di umanità, termine introdotto a Roma nel I secolo a.C. sul modello della philantropia greca, atteggiamento di benevola e rispettosa attenzione verso i propri simili, e strumento essenziale nella costruzione della convivenza civile. Ideali sostenuti e diffusi negli scritti di Terenzio, Plauto, Cicerone, che penetrarono nelle coscienze delle popolazioni europee insieme a una nuova idea di umanesimo, inteso come valore specifico, indipendente sia dal divino sia dal naturale, condiviso già dal primo Cristianesimo, e poi dal Rinascimento e dall’ Illuminismo. Secondo Revelli, questa fede nell’umanesimo si è infranta meno di un secolo fa, con il nazismo e lo scandalo di Auschwitz: “Il luogo in cui la lunga vicenda del pensiero occidentale ha subito la propria catastrofica lacerazione con l’irruzione massificata del disumano nell’umano”, quando l’uomo ha potuto essere considerato nulla per l’altro uomo. Tale dis-umanità è la stessa espressa dal feroce spettacolo, protratto quotidianamente da anni, della morte in massa dei migranti nei nostri mari, “osservato dapprima con pena poi sempre più con disattenzione, assuefazione, fastidio infine, e persino odio”.

In alcune figure emblematiche della cultura europea tra la fine del 1400 e il 1600 (Hieronymus Bosch, Amleto, Don Chisciotte, Giordano Bruno), Marco Revelli ravvisa i sintomi della prima grave rottura dell’armonia classica, con l’avvento di una crisi spirituale determinata dalle nuove istanze religiose della Riforma, dalle rivoluzionarie scoperte scientifiche, dal dilatarsi dei confini terrestri.

La modernità si affaccia in un mondo non più interpretabile secondo i parametri culturali del passato, e sempre più sconvolto dallo sgretolarsi di certezze rassicuranti sul ruolo dell’individuo nella società, nella storia e nell’universo. Tra ’600 e ’700 si impone un nuovo principio d’ordine, dettato dal concetto di Sovranità inteso come potere assoluto, a cui il suddito si assoggetta volontariamente, e con timore, per pura necessità di sopravvivenza. Il potere si giustifica da solo nella sua dimensione statuale, secondo il fondamento teologico-politico che assume il male e la violenza come instrumentum regni per mantenere l’unità, utilizzando la paura dei cittadini per assicurarsene la fedeltà.

In questa sua particolare e talvolta discutibile ricostruzione storica, Revelli pone molta attenzione alle espressioni artistiche che hanno accompagnato evoluzioni e involuzioni sociali, adeguandosi non solo agli umori popolari, ma soprattutto alle esigenze delle classi dominanti.

Se per due secoli e mezzo la vita quotidiana si è svolta ubbidientemente “sotto l’ombrello della Spada e della Legge” (ma come non considerare il principio libertario dell’Illuminismo, della rivoluzione Francese, delle lotte risorgimentali?), con il passaggio dalla Monarchia assoluta a quella costituzionale e poi allo Stato liberale rappresentativo, secondo l’autore torna a prevalere la difesa del vantaggio individuale rispetto a quello della collettività. Dopo il crollo delle fedi religiose, dopo la morte di Dio, anche la morte del prossimo sottolinea la fondamentale solitudine, verticale e orizzontale, dell’uomo.

Nel Novecento, con la strage industrializzata della Grande Guerra, e poi con i lager nazisti, l’inumano riprende a dominare lo spirito del tempo, dilagando senza freni spirituali. Le guerre mondiali e il nazismo certificano “la progressiva desertificazione del paesaggio interiore, l’abbattimento inarrestabile degli strati di civilizzazione sedimentati nei secoli fino a raggiungere l’osso di un’elementarità crudele, da branco predatore”. L’umano si fa disumano nell’esibita indifferenza per l’altro da sé, negli ultimi decenni divenuta ancora più manifesta soprattutto verso gli strati poveri e fragili della popolazione. Un’insensibilità nemmeno più giustificata da ragioni ideologiche, ma solo dalla corsa competitiva verso l’utile, per cui la persona viene considerata puro soggetto economico. Verità divenuta tanto più evidente con lo scoppio della pandemia, quando molti governi hanno cercato di salvaguardare più che la salute dei cittadini, gli interessi finanziari e industriali delle nazioni.

Nelle pagine dedicate alla tragedia del Covid, al Revelli storico si sovrappone l’attivista politico, il giornalista impegnato nella denuncia. Sono i capitoli più convincenti del volume, quelli in cui l’autore si interroga sull’attualità, confrontando dati, citando testimonianze, elencando statistiche e riferimenti bibliografici, offrendo un ricco apparato di note. La sua indignazione si fa palpabile nel constatare che esiste una parte dell’umanità esclusa dal trattamento sanitario sulla base dell’età, dello stato sociale, delle condizioni fisiche: la terapia intensiva garantita dai macchinari dimostra quanto la civiltà contemporanea sia più dipendente dal denaro e dalla tecnologia che dall’etica.

Ecco allora che il passaggio dall’Umano all’Inumano si estremizza ulteriormente nell’approdare al Postumano, lungo un percorso che ha declassato l’uomo dalla posizione di centralità, unicità e autosufficienza occupata nell’Umanesimo, rendendolo quasi l’appendice di sofisticate strumentazioni meccaniche. Assediata da biotecnologie, neuroscienze, machine learning, nanobionica, ingegneria genetica, cyborg, nel futuro prossimo l’umanità sarà destinata a compiere un doppio salto di specie: verso l’alto (in una posizione simil-divina, creatrice di vita in laboratorio) e verso il basso, diventando un manufatto artificiale: costruito, riparato, sostituito anche nelle mansioni intellettuali.

Come genere umano, stiamo forse pagando un peccato di superbia, avendo preteso di ergerci a dominatori trionfanti dell’universo intero, e l’attuale crisi del soggetto ci riduce all’insignificanza che meritiamo, laddove “le cose si personalizzano mentre le persone si reificano”, oggetti tra gli oggetti. In conclusione di un quadro tanto pessimistico, Marco Revelli indica l’unica possibile via di salvezza nell’esortazione suggerita da papa Francesco nella sua rivoluzionaria enciclica Laudato si’, ad abitare responsabilmente la terra di cui ci siamo ritenuti padroni assoluti, sfruttandola e violentandola, e a ritrovare una pacifica collaborazione non solo tra individui, ma con tutte le altre specie viventi e con l’ambiente che per millenni ha sopportato i nostri soprusi.

 

© Riproduzione riservata         «Gli Stati Generali», 14 dicembre 2020