EDOARDO SANGUINETI, POSTKARTEN – FELTRINELLI, MILANO 1978

Il teorico che negli anni ’60 era partito dall’identificazione linguaggio=ideologia, si era costruito una poesia coerente, portando la provocazione al livello più alto, avvicinandosi (con un tecnicismo esasperato) all’incomprensibilità per evitare il recupero. Pensava che per scardinare l’ideologia borghese servisse in primo luogo scardinare il linguaggio borghese. Ora Edoardo Sanguineti nelle sue ultime poesie il linguaggio non lo disordina più; lo usa, anzi, per comunicare. Scopre la carica positiva della lingua d’uso, ne scopre e ne utilizza tutta la sua tradizione letteraria (c’è Gozzano, ma anche Montale). Scopre ritmi e orecchiabilità, rivaluta la funzione della memoria come scrigno. Dietro a questo ripensamento letterario-estetico sta una questione molto grossa. Sanguineti non provoca più, non crede più alla funzione graffiante dell’avanguardia: lo sperimentalismo letterario viene delimitato a strumento di indagine linguistica. C’è dietro – chiaramente – una mediazione politica. Sarebbe semplicistico rifarsi solo al compromesso storico. Politicamente, c’è stato il ’68 e il recupero del ’68. Letterariamente c’è stato il Gruppo ’63 e il recupero del Gruppo ’63. Sanguineti si è adeguato alla storia. La poesia gli serve come strumento: prima aveva come oggetto gli altri (li provocava); ora ha per oggetto l’autore stesso e il suo mondo. E’ uno strumento d’indagine. Queste Postkarten sono cartoline scritte da un intellettuale organico all’intellighentia occidentale borghese, che riflette sul suo ruolo. Testimonianze di viaggi, di conferenze e di dibattiti. Salottiere e disperate. Farcite di citazioni, di polemiche colte, di rimandi culturali, di frecciatine ad amici e nemici (Sciascia, Cacciari). Il pubblico è chiaramente limitatissimo: Sanguineti sa di scrivere per pochi e perlomeno non bara. Se una volta la discriminante era la comprensione del testo, ora direi che è del tutto “ambientale”. Certi accenni, c’è chi li coglie e chi no. Certa infelicità (tra un aereo e l’altro, tra un party e l’altro), c’è chi la comprende e chi no. L’adesione di Sanguineti al comunismo è tutta cerebrale, infatti non si definisce comunista, bensì materialista storico. La sua poesia è cerebrale, mediata da un filtro (enorme) di cultura borghese. Ma nonostante il fastidio che può derivare da questo che continua a essere snobismo culturale, io credo che una cerebralità lucida e infelice, che riconosce i suoi limiti, sia ancora meglio della troppa visceralità/emotività dei tanti predicatori rossi che ci sono in giro.

Poesia n. 50:

Ho fatto passi indietro da gigante, in questi mesi: / il mio cervello / trema come marmellata marcia, moglie mia, figli miei: / il mio cuore è nero, peso 51 chili: / ho messo la mia pelle / sopra i vostri bastoni: e già vi vedo agitarvi come vermi: adesso / vi lascio cinque parole, e addio: / non ho creduto in niente.

 

«Quotidiano dei Lavoratori», 21 giugno 1978