VERENA STEFAN, OSPITI ESTRANEI – LUCIANA TUFANI, FERRARA 2012

Il bel viso di Verena Stefan (Berna, 1947) si offre sorridente al lettore di questo libro in realtà drammatico e sofferto, pubblicato dalle eleganti edizioni di Luciana Tufani, da sempre intelligentemente schierate dalla parte delle donne e della loro scrittura. E femminista dichiaratamente lesbica si è definita con orgoglio sin dal suo esordio letterario questa autrice svizzera, trasferitasi presto a Berlino, e poi in Canada, sempre inseguendo con coerenza un suo impegno civile e politico di lotta per i diritti delle minoranze. Ospite estranea di tre diversi paesi (dapprima come cittadina elvetica di padre tedesco mai completamente accettato a Berna, quindi immigrata in Germania e infine a Montreal), Verena Stefan ha fatto del suo sentirsi “altra”, straniera, disorientata, un mezzo per meglio riuscire ad esplorare se stessa, le persone intorno, l’ambiente e soprattutto la lingua con cui rapportarsi al mondo. Così l’impatto con la natura sconfinata e affascinante del Quebec, con i suoi laghi e boschi, e lo sforzo di impadronirsi di diversi e stranianti vocabolari (francese e inglese), o di adeguarsi ad atteggiamenti e abitudini lontani dallo spirito europeo, avrebbe potuto indebolire il suo carattere naturalmente combattivo: se non fosse stato mediato dalla naturalezza espansiva della sua compagna canadese, Lou, e dalla tenera sensualità di lei: «Il suo corpo porta iscritti gesti di seduzione e di offerta, un inchino appena accennato nel quale si intrecciano richiesta e sfida». Verena, ospite estranea sebbene mai rifiutata di un paese straniero, si è trovata improvvisamente a lottare contro un malefico intruso che tentava di divorarle il corpo. La sua guerra contro il tumore, le lunghe sedute di chemioterapia, il cambiamento osservato nelle parole e nei gesti degli altri, vengono descritti dall’autrice con parole intrise di stupore e sofferenza, ma analiticamente lucide: «Una volta nominata, la parola “cancro” fa alla velocità della luce il giro delle teste e dei corpi dei presenti. Modifica il loro paesaggio interiore, come se il cancro fosse contagioso, come se la crescita incontrollata potesse trasmettersi e trascinare con sé anche quelli che vanno a tentoni nella luce, perché non sanno cosa succede nella luce».

La riscoperta della propria vulnerabilità fisica passa dunque per Verena attraverso un nuovo rapporto con l’altro da sé, con l’amata, con il paesaggio, con i ricordi dell’infanzia: «Si avverte urgente il bisogno di dire a voce alta: Io». Scrive nella postfazione Emanuela Cavallaro: «Per istinto di conservazione, per la disperata volontà di salvarsi ed evitare il dissolvimento completo, e insieme per sancire la riconquista del sé. La crisi è superata, il soggetto di nuovo uno con se stesso». Fare spazio a ciò che è estraneo, accettarlo per renderlo da nemico a complice del superamento di ogni negatività: e scriverne con coraggio. Una lezione che Verena Stefan ha imparato sulla sua pelle e saputo trasmettere a chi legge.

 

«criticaletteraria», 17 febbraio 2014