STEFANO STRAZZABOSCO, L’ESERCIZIO IPSILON – RONZANI EDITORE, VICENZA 2018

L’esercizio ipsilon è una tecnica di allenamento messa in atto nel gioco del rugby per dribblare con finte gli avversari. È anche il titolo scelto da Stefano Strazzabosco per la plaquette recentemente pubblicata dall’editore vicentino Ronzani.

Avversari interni ed esterni, subdoli e minacciosi, sono quelli continuamente evocati da queste venti poesie: si aggirano tra un dentro che non offre riparo né consolazione, e un fuori pronto all’agguato. Versi tesi in una dimensione di denuncia e di allarme civile e politico, sebbene mai retoricamente altisonanti o proclamatori, e invece allusivi a un pericolo oscuro, accanito (“Sanno tutto / di te che non li vedi”, “Osservano / dalle vetrine trasparenti”). Talvolta la persecuzione è però plateale, esibita, fiera di sé; una vera “Santa Inquisizione dei Carnefici”: “Sia aperta la caccia alle streghe. / Si versi un po’ d’olio bollente / sugli eretici e i tristi”, “Qualche volta si toglie / la pelle all’indiziato, / gli si cavano gli occhi”.

Giustamente scrive Paolo Lanaro nell’introduzione che in Strazzabosco viene ribadita la contrapposizione tra un “loro” fatto di sopraffattori e un “noi” costituito da vittime, separati più che da una differenza di classe da una differenza antropologica. La realtà a cui conduce questa distinzione non è però immediatamente decifrabile, dato che la terminologia ricorre frequentemente a sostantivi e attributi che indicano vaghezza, intangibilità, inconsistenza (sabbia, cenere, pulviscolo, remote nuvole), oppure prigionia, chiusura, buio (cantina, tana, sonno, notte, macerie, ghiaccio, ingranaggio, soppressione, detenzione). La successione temporale non è definita con nitidezza (“L’altra volta / è questa stessa volta”, “questa notte o l’altra”), causa ed effetto si invertono nelle azioni e nei pensieri (“poi una / rosa rossa trapassa una spina”, “l’aratro è lì, davanti ai buoi”), ad aumentare sconcerto e timore.

Necessario nella sua evidenza è pertanto l’esergo alla silloge tratto dai Four Quartets eliotiani: “We had the experience but missed the meaning”, a confermare l’insignificanza e l’incomprensibilità delle storie quotidiane e personali, come di quelle collettive. L’influenza di Eliot, e l’omaggio alla sua poesia, non si limita all’epigrafe iniziale, o alla citazione del “giardino delle rose”: percorre forma e contenuti di tutti i componimenti qui presentati. Nel ricorrente passaggio tra io-tu-noi-essi, in una certa sentenziosità eticamente rigorosa, nell’utilizzo di neologismi e vocaboli stranieri (fotoshoppato, raion, spritz, sim, monitor, bancomat, sneaker), nell’ironia verso l’ambiente circostante (“Si dorme / col pigiama di orsetti in questa bella / città”, “la testa / mozzata continua a guardare le / vetrine rotolando”), e soprattutto nell’uso della sintassi, frammentata e spesso involuta, e nello sguardo di chi scrive, osservando e valutando da una posizione distaccata, con uno sconforto che non si riduce alla condanna (“vanno / capiti anche loro”), ma rivela apprensione, turbamento. Insieme alla consapevolezza che se la voce del poeta non serve, non basta a cambiare lo stato delle cose (“Tu, / cosa vuoi”), rimane comunque indizio di resistenza.

 

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https://www.sololibri.net/L-esercizio-ipsilon-Strazzabosco.html       12 giugno 2019