DACIA MARAINI, IL BAMBINO ALBERTO – BOMPIANI, MILANO 1988

Il bambino Alberto di cui parla questo libro è ovviamente lo scrittore Alberto Moravia, con cui Dacia Maraini ha costituito per una ventina d’anni la coppia più intellettualmente impegnata e anticonformista della patrie lettere. Il volume è scandito in tre interviste, volte a ricostruire l’ambiente familiare e culturale in cui si è dipanata l’infanzia del più noto fra i nostri scrittori, e quali influenze e strascichi quest’età giovanile abbia lasciato nella produzione narrativa dell’autore. Dacia Maraini interroga incalzante e lucidissima un Moravia quanto mai ritroso e restio ad ammettere turbamenti o complessi, propenso piuttosto a rimuovere e a negare qualsiasi episodio, ricordo o emozione possa essere letto freudianamente come rivelatore di qualche tabù. Lo scrittore sembra volersi nascondere dietro a verità assiomatiche, usa come schermo difensivo dichiarazioni di principio talvolta addirittura ingenue: «La mia letteratura non è affatto lo specchio della mia vita e del mio carattere; Il tempo non esiste. La personalità non esiste…Il passato non mi interessa, mi rattrista e basta; Penso che tutta la vita sia al presente, come al cinematografo». Eppure subito dopo, messo alle corde dall’analisi puntuale e un po’ spietata della Maraini, finisce per ripiegare, per ammettere quasi seccato: «Non ci ho mai pensato, ma è vero… strano, evidentemente hai ragione tu…E’ la prima volta che me ne rendo conto…»

Bravissima l’autrice in questa operazione maieutica di scavo, scandaglio, collegamento di particolari, ricomposizione finale, ottenuta con un ritmo concitato nel porre le domande, nell’estrapolare citazioni, nel confrontare situazioni. Bravissima nel riproporre un’epoca, un clima culturale e nello sbalzare figure femminili a tutto tondo (la madre, «una bella donna molto attenta alle convenzioni», il padre collerico e indifferente alla vita familiare, le governanti francesi, le due sorelle cui vengono dedicate due interviste a parte, che tuttavia poco aggiungono al già raccontato). E però proprio questa abilità incredibile di interrogare e di indagare, soffermandosi anche su particolari minimi, o sulle abitudini più personali dell’intervistato, questa scaltrezza investigativa, quasi, finisce per imbarazzare il lettore, mettendolo di fronte a un’intimità altrui non si sa quanto opportunamente svelata, sbandierata. Come un processo a porte aperte, una seduta psicanalitica diffusa con l’altoparlante. Moravia stesso definiva tutta la sua infanzia «Un lungo, inspiegabile disagio». Forse, appunto, non tutto si può spiegare.

 

«Agorà» (Svizzera), 30 novembre 1988