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MAESTRI

ACHMATOVA

IL CANTO DELL’ULTIMO INCONTRO

Così smarrito gelava il petto,
ma andavo con passi leggeri.
Infilai nella mano destra
il guanto della sinistra.

Parevano tanti i gradini,
pure sapevo: erano solo tre!
Un fiato di autunno fra gli aceri
invocava: «Muori con me!

Sono ingannato da un destino
triste, infido, crudele».
Gli risposi: «Caro, caro,
anch’io. Morirò con te…».

Questo è il canto dell’ultimo incontro.
Gettai uno sguardo alla casa buia.
Solo in stanza da letto le candele
ardevano di un lume indifferente e giallo.

***

C’È NEL CONTATTO UMANO

C’è nel contatto umano un limite fatale,
non lo varca né amore né passione,
pur se in muto spavento si fondono le labbra
e il cuore si dilacera d’amore.

Perfino l’amicizia vi è impotente,
e anni d’alta, fiammeggiante gioia,
quando libera è l’anima ed estranea
allo struggersi lento del piacere.

Chi cerca di raggiungerlo è folle,
se lo tocca soffre una sorda pena…
ora hai compreso perché il mio cuore
non batte sotto la tua mano.

***

E SUL MIO PETTO

E sul mio petto ancora vivo
piombò la parola di pietra.
Non fa nulla, vi ero pronta,
in qualche modo ne verrò a capo.

Oggi ho da fare molte cose:
occorre sino in fondo uccidere la memoria,
occorre che l’anima impietrisca,
occorre imparare di nuovo a vivere.

Se no… Oltre la finestra
l’ardente fremito dell’estate, come una festa.
Da tempo lo presentivo:
un giorno radioso e la casa deserta.

 

Anna Achmatova (1889-1966)

 

MAESTRI

ALBERTI

I bambini d’Extremadura
vanno scalzi.
Chi gli ha rubato le scarpe?
Li ferisce il caldo e il freddo.
Chi gli ha strappato i  vestiti?

La pioggia
gli bagna il letto e il sonno.
Chi demolì la casa?

Non sanno
i nomi delle stelle.
Chi gli chiuse le scuole?
I bambini dìExtremadura
sono seri.
Chi fu il ladro dei  loro giochi?

Rafael Alberti (1902-1999)

MAESTRI

ALEIXANDRE

Il tuo nome,
giacché tu l’hai. La vita non è stata
altro che un nome. Lo so, e non esisto.
Un nome respirato non è un bacio.
Un nome che s’incalza sopra un labbro
non è il mondo, è sognarlo da ciechi.
Così sotterra respirai la terra.
Sopra il tuo corpo respirai la luce.
Nacqui dentro di te: perciò son morto.

 

Vicente Aleixandre (1898-1984)

MAESTRI

ANGELI

L’ULTIMA LIBERTA’

Impara dalla foglia
di novembre che vedi
sciogliersi dalla spoglia
pianta nella precaria
luce in punta di piedi;
dalla foglia che sa
prima d’esser morta,
persuadendosi a un lieve
gioco col filo d’aria
che alla terra la porta,
fare di ciò che deve
l’ultima libertà.

***

SE TI RESTA

Se ti resta un talento
di tanto spreco fatto
sul bianco delle pagine,

spendilo in vita: l’atto
può adeguarsi all’intento,
non il segno all’immagine.

***

A DARIA

Per te, addentare lì davanti

alla tivù uno a uno gli spicchi

del mandarino che ho sbucciato,

è ancora continuare il gioco.

Di una meraviglia mai finita

colmi la distanza dai miei tanti

anni, a guardarti, li fai ricchi

della tua assenza di passato.

Mentre dico a me stesso “Questa

è mia figlia”, penso sia poco

offrire, non per la tua vita,

ma solo per quello che m’è dato

adesso, la vita che mi resta.

***

A SILVIA PER I SUOI TRE ANNI

19 febbraio 1988

Silvia, conto i miei

anni a ritroso

da quando sei

nata tu,

e li conto fatti

di giornate nuove.

Dicendomi “ti sposo”

me ne hai sottratti

tanti altri, più

numerosi

dei giocattoli

con cui hai invasa

per ogni dove

la casa.

***

TRASLOCO – Zurigo, 15 ottobre 1987

 

Dal primo al quarto trasloco

dieci anni e mille chilometri.

In Via Dall’Ongaro non c’erano

Daria e Silvia. Sono nate

qui a renderci un poco

nostra, un poco familiare

questa città straniera.

E saranno ancora esse,

le nostre bambine, a colmare

con voci fresche e risate

il niente senza nome

delle stanze troppo bianche e nuove

che non ci attendevano, in Zypressen-

strasse, numero quarantanove.

 

 

Siro Angeli (1913-1991)

 

 

 

MAESTRI

ASHBERY

PARADOSSI E OSSIMORI

Questa poesia si occupa del linguaggio a un livello alquanto piano.
Guardala che ti parla. Guardi da una finestra
o affetti irrequietezza. La sai ma non la sai.
Ti manca, la manchi, le manchi, ti manca. Vi mancate a vicenda.
La poesia è triste perché vuole essere tua, e non può.
Cos’è un livello piano? È quella cosa e altre,
e ne mette in gioco un sistema. Gioco?
Beh, di fatto, sí, ma io ritengo che il gioco sia
una piú profonda cosa esterna, un modello di ruolo sognato,
come nella ripartizione della grazia queste lunghe giornate agostane
senza dimostrazione. A finale aperto. E prima che te ne accorga
si perde nel vapore e nel cicaleccio della macchina da scrivere.
È stata giocata un’altra volta. Penso tu esista solo
per tormentarmi a farlo, al tuo livello, e poi tu non ci sei
o hai adottato un atteggiamento diverso. E la poesia
mi ha deposto dolcemente accanto a te. La poesia è te.

 

John Ashbery (1927-2017)

MAESTRI

AUDEN

FUNERAL BLUES

Fermate tutti gli orologi, isolate il telefono,
fate tacere il cane con un osso succulento,
chiudete il pianoforte, e tra un rullio smorzato
portate fuori il feretro, si accostino i dolenti.

Incrocino aeroplani lamentosi lassù
e scrivano sul cielo il messaggio Lui È Morto,
allacciate nastri di crespo al collo bianco dei piccioni,
i vigili si mettano guanti di tela nera.

Lui era il mio Nord, il mio Sud, il mio Est ed Ovest,
la mia settimana di lavoro e il mio riposo la domenica,
il mio mezzodì, la mezzanotte, la mia lingua, il mio canto;
pensavo che l’amore fosse eterno: e avevo torto.

Non servon più le stelle: spegnetele anche tutte;
imballate la luna, smontate pure il sole;
svuotatemi l’oceano e sradicate il bosco;
perché ormai più nulla può giovare.

 

W. H. Auden (1907-1973)

MAESTRI

BACHMANN

MESSAGGIO

Dall’atrio celeste, tepido di salme, spunta il sole.

Non gl’immortali sono lassù,

bensì i caduti, apprendiamo.

E lo splendore non si cura della corruzione. La nostra

divinità, la Storia, ci ha riservato un sepolcro

da cui non vi è risurrezione.

***

 

NELLA BUFERA DI ROSE

Ovunque ci volgiamo nella bufera di rose,

la notte è illuminata di spine, e il rombo

del fogliame, così lieve poc’anzi tra i cespugli,

ora ci segue alle calcagna.

***

 

ENIGMA

Nulla verrà più.

Non vi sarà più primavera.

Almanacchi millenari lo predicono a tutti.

Ma nemmeno estate e altre cose

che recano il bell’attributo «estivo» ‒

nulla verrà più.

Non devi assolutamente piangere,

dice una musica.

Nessun

altro

dice

qualcosa.

 

                                                                                                 Ingeborg Bachmann (1926-1973)

MAESTRI

BALESTRINI

BLACKOUT E ALTRO n. 43

sugli spalti si accendono migliaia di fiammelle
tutti ti guardano tutti guardano tutti
la sua musica la sentivamo come nostra una rottura delle regole del gioco
ma forse si rompeva già prima all’interno di ciascuno
la sua voce irriducibile come la tua alla rassegnazione per tutto ciò che di disumano ti circonda
passando tra i corpi inquieti percorrendo quasi di corsa tutto lo spazio tornando indietro
se una nuova vocalità può esistere deve essere vissuta da tutti e non da uno solo
con tanta rabbia
dentro di me sale la rabbia sorda che mi hai svegliato tu un mondo che non ho
alzandomi in piedi mi raggiungevano folate di vento e di musica che sembravano arrivare direttamente dal centro del cielo
noi inadeguati senza armi senza trappole con le candeline accese
ora si sta avvicinando un gran temporale lampi all’orizzonte sul mare e sulla linea del bosco

 

Nanni Balestrini (1935-2019)

MAESTRI

BELLINTANI

POICHÉ VERAMENTE SONO FRATELLO

Poiché veramente sono fratello
del topo nella bocca della gatta
che svelta se ne corre via
e sopportare non posso il ragazzo
scemo che inchioda al tronco
dell’acero la lucertola

ecco che uccido il ragazzo
con il cuore e gli tronco le mani,
poi rendo la testa della gatta
in poltiglia con colpi di pietra

ed è davvero perché sono fratello del fossato
della latta arrugginita e dei ciottoli
della strada e di ogni essere che vive o non vive
ecco che amo e odio follemente il mondo.

 

***

ALL’APERTO

L’uomo che sta accucciato nella vecchia latrina,
guarda il muro avanti a sé e vede
i piccoli grani di sabbia, sotto la mano di colore.
E dice l’uomo a se stesso che è ben vivo
poiché sa di guardar da uomo vivo quelle cose.
Così esce all’aperto, cosciente di sé e felice
entro una luce che poteva essere ben grigia un momento fa,
quand’egli ancora entrato non era
in quella vecchia latrina. Ben vivo
egli si sente, e nulla gli è più signore:
nessun uomo, nessuna cosa, nemmeno Dio.
Perciò cammina ed è padrone di tutto ciò che vede
e sente attorno a sé e lontano:
sia la distesa di campi, sia il bosco del barone
proprietario di pianure e di montagne;
sia la tana del topo, sia il gorgo impetuoso
del fiume che agguanta e annega un temerario
o sfortunato nuotatore;
e sia la nube del cielo e il sole e lo spazio
e tutto il passato e futuro giro del tempo.

***

Ho preso una mosca

e l’ho portata al ragno,

più per vedere la cosa

che per pietà del ragno.

 

La cosa la so da sempre

e l’ha permessa Dio.

Momenti col cuore in pace

momenti che sgozzo Dio.

 

Umberto Bellintani (1914-1999)

MAESTRI

BEMPORAD

VERAMENTE

Veramente io dovrò dunque morire
come un insetto effimero del maggio
e sentirò nell’aria calda e piena
gelare a poco a poco la mia guancia?
Più vera morte è separarsi in pianto
da amate compagnie, per non tornare,
e accomiatarsi a forza della celia
giovanile e del riso, mentre indora
con tenerezza il paesaggio aprile.
O per me non sarebbe male, quando
fosse il mio cuore interamente morto,
smarrirmi in questa dolce alba lunare
come s’infrange un’onda nella calma.

***

NON FARMI COSI’ SOLA

Non farmi così sola come il vento
che si dispera in questa notte fonda
fino a morirne, eternamente sola
non farmi, come già sono da viva,
sotto la volta immensa ch’è misura
del nostro nulla. In punto di lasciare
questa mia fragile vicenda, tutte
le mie dolci abitudini, e la gioia
che spesso segue all’urto del dolore,
voglio adagiarmi su una zolla d’erba
nell’inerzia, supina. E avrò più cara
la morte se in un attimo, decisa,
piano verrà, toccandomi una spalla.

Giovanna Bemporad (1928-2013)